II Domenica di Pasqua

At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31

Il questo tempo di Pasqua dobbiamo meditare l’incontro dei discepoli con il Risorto. E’ qui che nasce -lo abbiamo detto tante volte- non semplicemente la religiosità ma la fede Cristiana. E’ una esperienza che ha tanti nomi e la si chiama in tanti modi diversi: il Risorto, il Signore, il Glorificato o semplicemente Gesù.
Ha tante espressioni proprio perché è complessa. Dico complessa e non difficile perché c’è un momento, come per questi discepoli, nel quale ognuno di noi sa e sa con certezza di avere incontrato proprio Lui nella vita. Anche se questo incontro non è una cosa che mettiamo in tasca — anche qui il Signore dice subito “andate…” e non si trattiene.
A volte, questo incontro è davvero difficile da raccontare e appunto a Tommaso lo raccontano ma lui non ci crede. E’ difficile o impossibile farsi capire da uno che non ha fatto la stessa esperienza o almeno non lascia aperta questa possibilità per se. Perché questo accade (dicevamo in quaresima): che uno spesso non incontra il Signore perché ha già deciso che non incontrerà mai il Signore, che è una cosa impossibile, ecc. ecc.

C’è una caratteristica di questo incontro che mi sembra compaia in questo Vangelo, come anche nella lettera ai Colossesi di Paolo (che scrive da un carcere). Il fatto è questo, lo ha messo in luce Caravaggio in un suo quadro bellissimo che rappresenta proprio questa scena, e cioè che Tommaso metta il dito dentro le ferite di Gesù. Così come quando Gesù compare e dice “Pace!” e poi subito mostra le ferite. E Paolo dice anche lui così: anche a noi tocca la stessa sorte di Gesù, di avere ricevuto queste ferite, che abbiamo ricevuto nella carne come una ustione bruciante –il battesimo che ci ha uccisi per farci rinascere– che così anche per noi, passati attraverso questo incontro, siamo persone nuove.

Questa cosa dobbiamo meditare ed è sempre vera: l’incontro con il Signore ci fa passare attraverso il contatto con delle ferite (o con una morte) che addirittura dobbiamo toccare o abbracciare (come immagina Caravaggio) e che altrimenti non avremmo il coraggio di fare, che altrimenti diventerebbero sicuramente una colpa. Detto in altri termini: se non si è in grado di guardare una ferita con Cristo questa diventa colpa.
L’incontro con il Risorto è quell’incontro che mi permette di toccare tutta la mia ferita senza permettere alla colpa di divorarmi (per i discepoli addirittura la colpa di avere tradito Gesù). E aggiungo: se manca il Signore ogni ferita necessiterà di un colpevole, ogni errore o non si guarda in faccia o farà una caccia alle streghe.

Vorrei fare due esempi su questo: sono andato di recente a una conferenza di un famoso fisico italiano che è stato responsabile di un grave incidente alla macchina di fisica più avanzata al mondo (il Cern di Ginevra). Diceva così: quando uno non percepisce più il Mistero di quello che sta facendo (che è più grande di lui) alla fine nutre sempre una paura di sbagliare e quando questo accade ha sempre il bisogno di incolpare qualcuno. Diceva: il guaio non è sbagliare ma restare legati all’errore. E aggiungeva: questo grosso errore ci ha permesso di vedere meglio la realtà, di abbracciare e andare fino in fondo al nostro errore, ma abbiamo potuto farlo perché ci eravamo liberati dalla preoccupazione di un colpevole.
E con i ragazzi accade proprio così. Più ci si colpevolizza (sono stato un stupido a non fare nulla tutto il pomeriggio) meno si è in grado di toccare le ferite veramente, di abbracciare il proprio errore, e andare a fondo per non restarci invischiati. E il punto è proprio questo: dire ai ragazzi quando si sbaglia che proprio l’errore c’è (toccare la ferita), ma non c’è nulla che possano fare che li possa schiacciare mai del tutto. Ma possiamo dire questo solo se noi stessi lo abbiamo sperimentato, solo se crediamo in questo Dio.

E’ una esperienza e una domanda che ognuno deve fare per sé e non si può delegare ad altri, come accade a Tommaso.
Ecco perché quello che racconta Giovanni, questo “Pace a voi”, e quello che racconta Paolo, è tutt’altro che retorico nella vita. Tocca un punto per il quale ognuno di noi capisce chi è e quanto vale. E’ il punto dove si inizia a incontrare il Signore per davvero.