II Domenica di Pasqua

At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31

Siamo di fronte a due racconti di riconoscimento del Risorto e ci sono dei particolari che non ci devono sfuggire. Entrambi avvengono “il primo giorno della settimana”, entrambi hanno a che fare con una “pace” che viene donata e un perdono, entrambi mostrano un corpo che ricorda proprio la morte di Gesù, entrambi non durano molto e sembrano invece invitare a una missione, a un compito, come se su quel riconoscimento non ci si debba fermare troppo a lungo, ma una volta sicuri che è proprio lui sia necessario fare altro.

Mi soffermo su alcuni di questi elementi che mi sembrano importanti. Non è un caso che tutto si ripeta solo alla domenica. In altre parole, quel riconoscimento ha a che fare con la nostra celebrazione, almeno per chi sa ben vedere. Fin da subito quel “primo giorno della settimana” divenne luogo della “frazione del pane” e del riconoscimento del quel Gesù morto e risorto. Dovremmo sentirci coinvolti in questo. Quello che accade in questa pagina è lo stesso che accade oggi.

Il saluto di Gesù non è retorico. Lo aveva detto: “vi do la pace non come la da il mondo” e lo ripetiamo anche oggi prima della comunione “vi dono la pace…”. Perché non è retorico? Non è retorico se è preso sul serio, se è preso sul serio il guazzabuglio delle paure che investe la nostra vita, come per i discepoli che “stavano a porte chiuse per paura dei giudei”. Oppure come Pietro, quando dirà, riconoscendo la sua pochezza di traditore: “tu Signore sai tutto”. Accogliere la pace, se uno è serio, non è affatto banale. Noi abbiamo stilizzato questo gesto nello scambio della pace ma sappiamo benissimo che se fosse vero, se quel gesto esprimesse davvero quello che dice, se invece di avere uno sconosciuto avessi una persona che conosciamo bene o amiamo, sapremmo quanto è difficile perché facilmente siamo orgogliosi e cocciuti…
E quella pace non è quella del mondo perché significa ritrovare quel luogo, che tutti abbiamo perché ce l’ha messo il Padreterno, della nostra assoluta dignità di figli. Quella dignità per cui qualunque cosa possiamo fare, qualunque tradimento possiamo commettere, noi resteremo sempre uomini e figli agli occhi di Dio. Dio non vuole adoratori, non vuole persone che si sommergono nello sconforto e si prostrano afflitti. Il Signore Gesù ci ha chiamati “amici” e non “servi”. C’è questa radice inalienabile di dignità che tuttavia va sempre ritrovata perché potrebbe anche spegnersi. E’ in base a questa dignità che due persone per me si possono sposare promettendosi fedeltà reciproca. Mi son sempre chiesto: ma come è possibile? come fanno a dire quella cosa conoscendo la propria fragilità umana?
Lo si dice seriamente perché non si ha vergogna di questa dignità ritrovata sulla quale sempre si può fare affidamento e che ci viene data (da Dio ma anche attraverso i fratelli che ci perdonano, dice Giovanni) e che non possiamo darci da soli, ma la possiamo solo riconoscere in noi. Altrimenti è un atto di arroganza.

Un’ultima osservazione. Questo riconoscimento del Risorto è davvero quello che avviene oggi, nel senso che appare breve, folgorante e non è mai fine a sé stesso. Sembra davvero che sia solo la certezza intuita dai discepoli ma che vedere Cristo sarà poi vivere Cristo: c’è un prolungamento tra quel riconoscimento, il nostro nell’eucarestia, e tutta la vita. Fin da subito, una volta riconosciuto, si sa di avere un compito e che quel riconoscimento è fine a questo compito e non a sé stesso. Se no, a che serve questa notizia? A che serve dire che è Risorto? Invece, il riconoscimento che non ci si era sbagliati, che ciò che lui ci aveva insegnato a vivere e a sperare non va perduto, è la conferma che quella strada va percorsa tutta fino in fondo, giorno dopo giorno. Come quando sorridi, il tuo sorriso pur essendo proprio il tuo, tuttavia non serve a te stesso ma ha senso per gli altri ai quali è rivolto e solo così è davvero un sorriso. Allo stesso modo la stranezza di questo riconoscimento che può essere anche solo l’intuizione di un uomo nell’istante del pane spezzato, ma sarà poi vero nel compito di ci rilancia sempre, di domenica in domenica, per vivere il suo Vangelo.