II domenica di Avvento

Bar 4,36-5.9; Sal 99; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18

Mi sembra esista un contrasto tra le prime affermazioni di Giovanni, che suonano in modo molto altisonante (“spianate le strade…”) e la risposta alla domanda “cosa fare?”. Giovanni dice a coloro che riscuotevano le tasse: “siate onesti, non fate gli uomini corrotti”, alla gente normale dice: “aiutate che è nel bisogno” e ai soldati dice: “fate i bravi soldati, non maltrattate la gente, accontentatevi del salario senza saccheggiare…”.
E ci verrebbe da dire: tutto qui? Non dice di fare “grandi cose” o di ribellarsi al potere politico (ingiusto allora come oggi) o di “vivere in monasteri”. Fare il bene con la “b” minuscola. Qualche anno fa, forse quando ero più giovane, avrei trovato troppo poco in questo. Non si può solo fare “le persone educate”, il cristianesimo non è questo. Resta vero, ma oggi mi rendo conto con più chiarezza che “ciò che è ordinario”, l’essere semplicemente persone che quotidianamente provano a fare il bene, appare realmente straordinario. Dico cose semplici: stare con i figli, rinunciare a un po’ di stipendio per loro, coltivare delle amicizie, leggere un libro, parlare con un anziano, rispondere alle mail, lavorare bene per il gusto di fare bene una cosa, chiedere scusa… non preoccuparsi se non si potrà cambiare la macchina o non si potrà andare a sciare… far bene da mangiare, aspettare uno che arriva in ritardo senza imprecare, credere in un matrimonio…

Cose davvero semplici, ma diventate oggi difficilissime. Eppure era la base dell’umano (e una volta anche di una felice “convivenza” civile). L’impressione è che si diventi vittime sempre più frustrate e nervose di un sistema che ti toglie il respiro, dove devi correre sempre addietro alle cose, dove ti senti un po’ in pericolo, dove ciò che dai agli altri lo senti con fastidio, pesa, come uno svuotamento personale… Ho degli amici che mi dicono che bisogna andarsene in paesi più poveri del nostro (non paesi di miseria) per uscire dalla “macchina” invisibile che ci stritola… Ma forse è un fuggire.
Perché le cose semplici dell’umano sono diventate così difficili? Perché il bene con la “b” minuscola sembra così faticoso e a volte pure impossibile? Ci sarebbero tante analisi da poter fare su questa “insoddisfazione” latente che oggi facilmente cede alla “rabbia” degli uni sugli altri. Settimana scorsa provavo a indicare una pista di riflessione e se ne potrebbero aggiungere altre. Penso però anche che ci siamo un po’ dimenticati del Signore. Ho impressione che se non lo perdiamo di vista abbiamo più forte la possibilità di “sfilarci” o di “resistere” agli ingranaggi della logica del “progresso” e del “mercato”, e alla fine vivere con meno frustrazioni (per fortuna senza dover essere Dio). Almeno, non avessimo davvero più nulla (finissimo in bancarotta), avremmo degli amici che ci vogliono bene (una compagnia cristiana) e soffriremmo un po’ meno la solitudine. Non sarebbe già uno “spianare la strada”?

Il poeta Argentino Borges scrive una bellissima poesia dove descrive chi è per lui l’uomo “giusto” con la “g” minuscola.

Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.