II domenica di Avvento

Is 19,18-24; Sal 86; Ef 3,8-13; Mc 1,1-8

C’è un aspetto della figura di Giovanni che mi sembra ancora interessante. Egli è stato uomo che per mille motivi (il suo carattere, il suo modo di vestire, le sue scelte estreme, il suo rapporto con Dio…) ha permesso a molte persone di usciere dal flusso della loro vita e per un momento di fermarsi, chiedere perdono e farsi battezzare — dice il Vangelo. Questo significa preparare la strada per permettere l’incontro con il Signore.

Perché tutto ciò non è per nulla scontato? La questione è capire che la vita ha un suo flusso e delle sue urgenze. Di più, la vita è un flusso incontenibile e inarrestabile. Eraclito diceva che la vita scorre come un fiume nel quale non puoi due volte bagnarti nella stessa acqua. Cosa significa? che c’è una incombenza di tutti i giorni nella quale siamo immersi e trascinati. Sono quelli che oggi chiamiamo “gli impegni”: bisogna fare questo e quest’altro. Pensate alla vita di tutti i giorni in una città come questa. Sono andato l’altro giorno al supermercato alle 20:45 ed era strapieno. Gente che faceva la spesa, appena uscita da lavoro e quindi sarà arrivava a casa dopo le nove e doveva cucinare e magari poi anche stirare e magari anche guardare i compiti dei figli… Capite? C’è un flusso della vita nella quale siamo davvero presi.
Anche quando abbiamo del tempo libero spesso questo stesso tempo libero diventa anch’esso un tempo sempre pieno: perché c’è la cena, c’è la gita ecc. Per non parlare dei figli che dobbiamo sempre tenere impegnati così che le mamme corrono di qui e di là (con in nonni) tra il calcio e il catechismo e le ripetizioni… E’ un flusso.

Tuttavia, qui entra in scena Giovanni, c’è qualcuno che ha la capacità di stupirci, magari che si è tirato fuori da questo flusso… e in ogni caso noi percepiamo che dentro questo flusso si può affogare, può mancare il fiato. Percepiamo che, al contrario, ciò che caratterizza l’umano è la sua capacità di fermarsi e di tirarsi fuori da questo flusso, di riflettere. Scoprire che gli impegni non sono tutto.
Ecco che “tutti vanno da Giovanni nel deserto”, ovvero si tirano fuori dalla loro quotidianità. Questa esperienza, non essere schiacciati dal flusso della vita, ma potere dire che esiste “altro”, poter “riflettere”, poter non cedere alla pura immediatezza… tutto questo ci rende più uomini.
“La vita è adesso” recitano gli slogan. E’ vero! La vita è rincorrere le cose adesso. Ma l’umano no, l’umano vive di attese e speranze. Il tempo dell’umano non è l’adesso ma la storia.

C’è una bella poesia che vorrei citare, anche se è molto triste. Non mi interessa il lato tragico ma l’esperienza che descrive. Viene anche recitata in un film famoso “Quattro matrimoni e un funerale”. E’ un film dove a un certo punto, come dice il titolo, c’è un funerale e l’amico del morto cita questa poesia di Auden dal titolo Funeral Blues. Dice:

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono
fate tacere il cane con un osso succulento.
Chiudete i pianoforti, e tra il rullio smorzato
portate fuori il feretro. Si accostino i dolenti.
[…]
Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo
la domenica, il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia
lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servono più stelle: spegnetele tutte
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotate l’oceano, e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.

Questa è l’esperienza incredibile che noi facciamo. Ti muore la persona cara e (incredibile per noi) il fiume continua ad andare al mare. La vita è inarrestabile. Quando ci manca qualcuno, quando qualcosa si rompe, non capiamo perché invece tutto continui ad andare avanti, perché continui ad esserci la luna, perché il cane continui ad abbagliare… capiamo che il flusso della vita non ci basta.

Proprio qui si rivela l’umano. Ma abbiamo per forza bisogno di esperienze shoccanti o tragiche per capirlo? Abbiamo bisogno che facciano attentati sotto casa nostra per capire che non si vive per gli impegni e che la vita deve valere di più? Quando l’uomo di oggi è capace di abbandonare l’immediatezza e uscire dal flusso della vita che lo distrae?
Per questo serve un Giovanni Battista che ci inviti nel deserto, per questo è necessario l’avvento prima del Natale: per fermarsi e accorgersi di cosa stiamo vivendo davvero. Abbiamo oggi sotto gli occhi la nostra fatica a fare tutto ciò, a fermarci e riflettere. Lo si è visto bene dopo gli attentati di Parigi. L’emotività, le reazioni immediate, lo spavento, le “parole a vanvera” sembrano essere l’unica risposta della quale siamo capaci. Siamo incapaci di uscire dall’immediatezza del flusso.
Il tempo dell’Avvento vorrebbe essere anche questo: ricordare all’uomo che può non vivere di risposte immediate o automatiche, che può almeno per un momento uscire dal flusso della vita che lo opprime o che lo spaventa, e andare anche lui da Giovanni in un luogo deserto.