II Domenica di Avvento

Settimana scorsa parlavamo del nostro strutturale desiderio di attesa (lo richiamava il Vangelo) e ricordavo come sia impossibile per noi accontentarci di un presente felice. Siamo infatti sempre spinti a guardare al domani e ad attenderci qualcosa da esso — a qualsiasi età.
Il Vangelo di oggi pone invece la nostra attenzione sulla qualità di questo desiderio e di questa speranza (cosa desideriamo davvero?), perché esso non venga abbandonato a sé stesso. Come diceva il grande scrittore Lewis: quando un desiderio o una aspettativa vengono abbandonati al caso o al corso degli eventi accade che o appassiscono e muoiono oppure diventano come dei demoni. Lo sa chi si è sposato: o si rimette mano continuamente alla qualità di quella relazione oppure esiste il rischio che quell’amore lentamente si spenga. Viceversa può accadere che tale emozione diventi smisurata e dettata come da un demone (p.e. si può uccidere o uccidersi per amore).

Si tratta della necessità di fare un cammino, di non accontentarsi di come vanno le cose, perché –da sole– le cose vanno in modo da renderci schiavi e non liberi. Da soli, i desideri diventano frustrazioni e le speranze si trasformano spesso in utopie. Il tempo dell’Avvento è tempo di un cammino dove chiedersi la qualità del bene che vogliamo, dei desideri che abbiamo. Ogni anno dobbiamo accorgerci che è necessario convertirci perché vorremmo ogni anno sempre di più desiderare quello che desidera Dio e amare come amerebbe Dio.
Ne va della verità del “cenone” che faremo a Natale: cosa sarà quel cenone, cosa saranno quegli auguri scambiati, se saranno pura formalità oppure il segno di un affetto vero, dipende in gran parte dal cammino che precede.
Il Vangelo ce lo ricorda mettendo in luce la falsità di chi pensa di essere finalmente arrivato: “non dite: tanto siamo figli di Abramo, perché Dio può far nascere figli di Abramo da queste pietre”.

Vorrei approfondire questa necessità di un cammino sui nostri sentimenti e affetti. Oggi, il tema delle emozioni domina la scena: sembra davvero che nulla sia più importante dei propri affetti e delle proprie emozioni. Se ci pensiamo, il nostro è il tempo delle decisioni che vengono dalla pancia, dalle passioni spontanee e imprevedibili, dalle paure, dalle voglie, più che dalla ragione o da una riflessione. Cosa oggi è più decisivo nei grandi temi di attualità? Un discorso convincente e bene argomentato o una paura vissuta in prima persona? Potremmo fare mille esempi sul ruolo determinante delle emozioni per decidere la verità di una cosa (si dice: hai scelto la cosa giusta quando “ti senti” bene).
Si sceglie una facoltà o una ragazza non con la logica di chi “valuta” e “discute”, ma a partire da un sentimento che vorremmo ci trascini e ci mostri chiaramente la verità. Uno studioso francese ha scritto un libro dal titolo significativo: “Il culto delle emozioni”. Noi viviamo il tempo non dell’uomo “sapiens”, ma dell’uomo in balia degli affetti emotivi. Per questo i ragazzi hanno un grande idolo: “sentire” e come dicono “divertirmi”. Non vogliono spendere il loro tempo per qualcosa di buono e che anche loro “sanno” che è buono, ma vogliono andare dove qualche sentimento o amico li porta, vogliono uscire dal peso della vita e provare emozioni (spesso forti e violente, spesso dove perdi il controllo di te)… Anche gli adulti mostrano un affetto tale verso i figli che dicono: “come si fa a dirgli di no?”, bloccati dalla loro stessa pancia, dal loro stesso (forse possessivo?) amore spontaneo per i figli. E la paura degli anziani di fronte alle notizie sempre cattive del telegiornale? Così lamentosi verso il mondo eppure in fondo così attratti dal loro stesso sconforto e dalla loro stessa emozione della paura.

Tornare a convertirsi –è il richiamo del Battista– significa tornare a domandarci come amiamo, come desideriamo, come viviamo le nostre emozioni e la qualità di queste emozioni oltre il loro nascere spontaneo e immediato. Sono emozioni vere e desideri sani oppure sono vuoti riempitivi, sono paure, fughe, sono una forma di narcisismo? Vivere così dominati dalla proprie emozioni e sentimenti ci fa vivere più sensibili e attenti agli altri oppure alla fine siamo sempre preoccupati di noi stessi e dei nostri stessi “mal di pancia”? Perché molto spesso più si vive di emozioni spontanee più si diventa in realtà insensibili e incapaci di sentire l’altro che ci è affianco. Paradossalmente molti giovani che cercano emozioni sono poi incapaci di “sentire” davvero, di apprezzare un tramonto, di accorgersi che il proprio genitore, la propria nonna, o il proprio fratello che vive di fianco a noi ha bisogno di un aiuto, di una parola…

Per questo serve la fatica di un cammino. Perché spontaneamente si diventa anche più distratti o più cinici o più arrabbiati nei confronti della vita. Invece sempre abbiamo bisogno che qualcuno venga a salvarci. Qualcuno ci deve aiutare a rimettere in discussione le nostre emozione e i nostri sentimenti spontanei. Lo racconto Flaubert, narrando la storia di S. Giuliano ospitaliere, nel libro Tre racconti. Un ragazzo non che abolisce i suoi sentimenti, ma che li converte e lo fa a partire da uno sguardo e da un incontro.
Racconta Flaubert che l’adolescente Giuliano ha preso il gusto di uccidere gli animali. Insensibile si è abituato al loro sangue e a vederli morire. Un giorno però incontra un cervo che colpisce con una freccia in piena testa. Prima di crollare, l’animale gli si accosta tranquillamente e lo fissa con i suoi occhi fiammeggianti. Davanti a quello sguardo Giuliano è assalito dalla sua vergogna. Presto le emozioni violente della carneficina e della vendetta perderanno ogni attrattiva ai suoi occhi. Si lascerà invadere da emozioni di altro tipo. Giuliano imparerà un nuovo modo di accogliere l’altro e di vivere anche quel sentimento di impotenza che molte volte ci assale quando vogliamo veramente bene. La strada della conversione e del sentimento vero implica la rinuncia al possesso, scoprirà poi S. Giuliano. Ma occorre uno sguardo, una persona che ci vuol bene e che noi prendiamo sul serio, occorre seguire il Vangelo. Esso magari ci farà sentire per un momento in colpa, ma non importa, sapremo che questa sequela vale la nostra fatica perché c’è in gioco la verità dei nostri affetti e delle nostre relazioni. E cos’altro abbiamo di più prezioso?