I domenica dopo la Dedicazione

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“Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
C’è almeno un senso, molto poco miracolistico, per cui credo che questa parola sia vera. Un senso che noi stessi abbiamo già sperimentato tante volte come vero nella vita… Gesù sta parlando alle persone che lo hanno lungamente seguito, sono “i suoi”, sono quelli che ha amato. È un particolare importante, perché è vero che le persone che amiamo o quelle che ci hanno amato (una amicizia, un affetto, un amore) davvero sono “sempre con noi”. E questo è molto più di una metafora.

La psicologia evolutiva afferma qualcosa di ben risaputo -almeno dai cristiani- ovvero che ciò che siamo dipende moltissimo dalle persone che abbiamo incontrato. Ma questo sarebbe un fatto che avviene perché le persone che ci hanno amato sono come delle immagini che ci portiamo sempre dentro e che hanno costruito i mattoncini di quello che percepiamo di noi stessi, la nostra persona. Faccio un esempio: quando la mamma sorride a suo figlio, dopo un po’ il figlio capisce che lui è “quello al quale la mamma sorride” e questo perché l’immagine della mamma che sorride è come se restasse realmente dentro di noi.

Mi sembra una osservazione importante. Lo possiamo sperimentare anche con delle amicizie che sono state vere: passano molti anni senza vedersi e poi magari ci si rincontra. Si hanno ormai vite diverse, ma è come se il tempo non fosse passato! E questo perché quella persona in fondo -anche senza pensarci- non è mai stata abbandonata davvero dentro di noi. Credo che Gesù -prima ancora di altri significati che certamente possiamo trovare- intendesse dire che l’incontro che i discepoli hanno fatto con lui davvero non muore. Rimane dentro di noi giorno per giorno. Mi diceva un grande uomo spirituale: se ogni giorno leggi un po’ il Vangelo di Gesù, stai sicuro che quelle parole entrano dentro di te ed è come se ti accompagnassero. Sembra una cosa strana ma è così. Del resto, sappiamo che è così con le persone che amiamo.

Mi sembra allora significativo che Gesù dica: “fate discepoli”. Fare discepoli e battezzare non significa solamente “spiegare delle cose”. Essere discepoli significa passare molto tempo con il proprio maestro, significa quello che hanno vissuto i dodici. E battezzare non era un bollino che si mette a dei bambini per dire che ora sono “a posto”, ma era una esperienza degli adulti che veniva ricordata, che rimaneva dentro come un rito iniziatico che ti aveva cambiato per sempre e che “ti portavi dietro” per sempre. Certo, perché si può interiorizzare, si può sentire la compagnia di qualcosa che ti accompagna ogni giorno, ma solo per ciò che amiamo, non per una lezione o per una morale che riceviamo.

Io sono un po’ obbligato ad parlare a scuola a dei ragazzi. Ma tante volte mi sono accorto che non sono state le parole -dico una cosa banale- ma è il ricordo di questi ragazzi che ha generato qualcosa di buono. È l’esperienza di una uscita, di una cena, è anche il vedersi per tanto tempo e poi tutte le settimane. È come se il vangelo passasse sempre agli altri più per osmosi che per aver detto o dimostrato delle cose una volta.

Ecco, questo -ed è qualcosa di lungo, è una amicizia che nasce pian piano- mi ha fatto fare l’esperienza che siamo accompagnati sempre, ogni giorno almeno dalle persone che amiamo. E se tra queste persone c’è il Vangelo di Gesù o quelli che ce lo hanno testimoniato, davvero sappiamo di non essere soli. Sappiamo che la vita non è fatta per dissolversi nel nulla. È come un segno dentro di noi che la persona umana non è fatta per morire ma per amare.