I Domenica dopo la dedicazione

At 8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20

Vorrei commentare l’episodio della conversione dell’eunuco di Candace. Esso mi ricorda fortemente il racconto dei discepoli di Emmaus. In entrambi i testi, qualcuno è in viaggio, discute e viene quindi affiancato da un uomo che lo aiuta a capire, in Atti è Filippo mentre nel Vangelo è Gesù stesso. L’episodio di Emmaus si conclude con il riconoscimento di Gesù e lo spezza del pane (l’eucaristia), mentre questo termina con l’avvento alla fede e il battesimo. La dinamica della conversione è davvero simile.

Entrambi i racconti hanno al centro un discorso ben preciso: la spiegazione delle scritture che annunciano che il Cristo doveva patire e morire per gli uomini. Questo discorso chiarisce che non si arriva alla fede cristiana genericamente quando “si crede in Dio” o quando “si accetta una tradizione” ecc. ma si accede alla fede cristiana quando si “capisce che il Cristo doveva morire”. Si tratta, in altre parole, di cambiare mentalità (direbbe il vangelo) e dove tutti vedono uno scandalo, la fine e la morte di una pienezza, noi invece vediamo una forma della vita autentica. Si tratta di capire che non è necessario avere paura di lasciasi portare via tutto, di lasciarsi spogliare dagli altri, perché si ha imparato a vivere la vita non come a un possesso ma come una relazione.

Questo cambio di mentalità è il tema della conversione e di questo racconto. Esso non dipende dall’età, dalla tradizione, dal ceto sociale, dal colore della pelle, dalle abitudini sessuali (qui c’è un eunuco)… questo cambio di mentalità sulla vita è davvero universale e penso sia il grande motivo che spinge i missionari a lasciare casa. In qualsiasi parte del mondo l’uomo può diventare rapace, malvagio, feroce perché preoccupato della sua sopravvivenza e in qualsiasi parte del mondo ha bisogno di cura e di conversione. Come non citare il finale del libro Cuore di tenebra di D. Conrad — questo grande viaggio nella capacità di sopraffazione dell’uomo occidentale sulle tribù africane — dove alla fine, su tutto risuona il grido di Kurz, l’uomo simbolo di questo male, che dice “Orrore! Orrore!”. Io penso che oggi, se esiste un buon motivo per tornare in Africa, è anche quello di cambiare il dramma che questo “orrore” ha generato.

Tuttavia anche per noi, come per l’eunuco di Candace, questa conversione personale avviene solo a una condizione: di non esserci abituati alla nostra religione, al nostro stile di vita borghese, ma di avere ancora una domanda, di avere l’onestà della necessità che qualcuno ci guidi. Questo chiede l’eunuco che in fondo si sente perso e per questo è possibile la sua fede.

Su questo generale affievolirsi di una domanda di salvezza, sul disinteresse per gli altri, sulla vita sufficiente e borghese, consiglio di leggere il romanzo di L. Tolstoj Resurezione. Lo scrittore aveva capito che non c’è resurrezione (non c’è battesimo di eunuco che sia) che non sia un percorso che ci faccia riscoprire la necessità di una salvezza, che faccia toccare con mano anche la potenza della cattiveria umana come descrive anche la pagina di Isaia letta dell’uomo di Candace. Tolstoj racconta la storia di una donna che usata dagli uomini tutta la vita e finita ai lavori forzati in siberia per un errore di processo, vive lo spegnersi dentro di ogni domanda, per l’impossibilità di stare di fronte a quelle ferite che aveva subito. Questa “distrazione” dell’uomo che smette di domandare è sempre il grande tema dei romanzi dello scrittore russo.

Tre righe del romanzo descrivono benissimo questa condizione: “Tutti vivevano solo per sé, per il proprio piacere, e tutte le parole su Dio e sul bene erano inganno. Se poi qualche volta sorgevano domande sul perché di quel mondo così male ordinato che tutti si tormentavano a vicenda e tutti soffrivano, bastava non pensarci. Se si annoiava – fumava o beveva, oppure, meglio ancora, faceva l’amore con un uomo, e le passava“.

Convertirsi, non è questione di tradizioni, ma quell’universale tornare a sapere di sentirsi persi, di avere bisogno di salvezza e di una guida, come l’eunuco sul suo carretto, senza distrarsi.