I domenica di Quaresima

Letture

LETTURA Is 57, 15 – 58, 4a Lettura del profeta Isaia In quei giorni. Isaia disse: «Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò’”. I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. “Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: “Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi». SALMO Sal 50 (51) Pietà di me, o Dio, nel tuo amore. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. R Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. R EPISTOLA 2Cor 4, 16b – 5, 9 Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi Fratelli, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. VANGELO Mt 4, 1-11 ✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Pensando all’inizio di questa Quaresima non posso non ricordare l’inizio di quella dell’anno scorso. Eravamo nei primi giorni del primo lookdown. Le prime Messe sospese che non si potevano più celebrare comunitariamente. Prevaleva lo stupore e lo spaesamento per qualcosa di nuovo, improvviso e drammatico che ci stava accadendo. Ci stupiva il silenzio delle strade, squarciato dalle sirene ripetute delle ambulanze e l’apprensione per molti malati, improvvisamente ricoverata, per i medici, gli anziani ecc.

La quaresima speciale dell’anno scorso, quel drammatico ma anche carico di solidarietà e di condivisione, è stato un tempo per noi più facilmente avvicinabile a questa immagine del Vangelo, a questo tempo di deserto particolare. Senza tante parole abbiamo potuto capire al volo cosa significa: “non di solo pane vivrà l’uomo”. Il pane c’era, anche se qualcuno si affrettò ai supermercati a farne scorta (il lievito mancava), eppure ci mancava qualcos’altro. Qualcosa che presto avremmo saputo nominare: le relazioni, gli abbracci, la fisicità degli amici, la libertà, l’aria, la sicurezza…

Ora è passato un anno. Molte cose non sono cambiate o non si sono ancora risolte, ma non c’è più quella novità iniziale e spesso neanche la fraternità che l’aveva accompagnata. Ora siamo spesso solo stanchi di questa situazione e in parte è tornata una “falsa” normalità. Ma questa Quaresima non avrà più certamente i tratti di quella dell’anno scorso. C’è il rischio allora che quello che di buono spiritualmente abbiamo vissuto vada perduto. Come quando si torna dalle vacanze con l’oratorio, dove c’è stata una ricchezza di relazioni e di esperienze, e mi chiedo: cosa resterà di tutto ciò nella quotidianità? Cosa rimane della Quaresima dell’anno scorso, di ciò che è stato bello, di quel tempo di deserto spiritualmente ricco, quest’anno? Cosa rimarrà nelle tante future e assai più normali quaresime che avremo davanti?

Il Vangelo credo che ci dia una traccia per poter rispondere. Quello che rimane sono sempre tre cose. Ci sono tre questioni che, indipendentemente dalle circostanze, spetta a noi porci e vivere e saranno sempre tre questioni nelle quali in qualsiasi routine della vita potranno gettare una nuova luce. Le enuncio soltanto.

La prima è la questione del desiderio. Quale desiderio non fallisce il suo compito? Quale desiderio corrisponde alla nostra fame più profonda senza deluderci? Faccio un esempio e mi scuso per la banalità. Una signora mi fece vedere un giorno con orgoglio il suo armadio pieno di scarpe, credo fossero più di 150. Non c’è nulla di male nel comprare scarpe, ma mi sono chiesto: cosa accade nella vita di quella signora (che è poi anche la nostra)? Si sarà alimentato ogni volta un desiderio di acquisto, di felicità momentanea, una fame che tuttavia, appena saziata, sarà subito stata dimenticata e ne sarà nata una nuova. Immancabilmente gli oggetti del nostro desiderio falliscono il loro obbiettivo e vengono abbandonati e dimenticati. Cosa dunque sazia il nostro desiderio? O come vivere questo “digiuno”, ovvero la consapevolezza che il nostro desiderio non può essere saziato mai del tutto? Il Vangelo dice che serve una parola, ovvero una relazione con Dio. La prima strada è dunque quella del vero desiderio, della vera fame.

La seconda strada è quella della lotta alla superstizione. “Ci penserà Dio”, chiede il superstizioso, sperando di ingraziarselo con qualche scaramanzia. Sia atei che credenti possono coltivare un’immagine scaramantica di Dio. Possono fare della paura il centro della vita. Possono “mettere alla prova Dio”, chiedendogli di corrispondere magicamente, e non senza il coinvolgimento di sé, di adempiere alle proprie richieste.

L’ultima strada è quella della lotta all’idolatria. C’è sempre qualcosa che deve riempire la nostra mente e le nostre giornate e quando è qualcosa che non possiamo sceglierci si chiama “dovere della vita”, ma quando possiamo scegliercelo allora occupa gli spazi di libertà e di affetto. È facile tuttavia che questo riempire la vita, che è una necessità per tutti, diventi una forma di idolatria: si possono adorare i figli (facendogli un gran male), la propria carriera lavorativa, il proprio successo, un qualche progetto… tutto noi tendiamo a trasformare come idolo, è quasi impossibile restare immuni da ciò. Ma ogni idolo fa poi pagare un prezzo, perché come per il desiderio, esso immancabilmente delude, facendoci cadere nella disillusione.

Per questo, senza vergogna, riconosciamo di dover ricominciare ogni anno. Ogni anno riceviamo le ceneri in testa, non per masochismo, ma per ritrovare quell’onestà di noi stessi che ci fa riconoscere l’errore dal quale dobbiamo essere aiutati, la sorgente che abbiamo perduto, l’aridità che siamo diventati. Perché ogni anno, riconoscendola, possiamo esserne aiutati.