I domenica di Quaresima

Link alle letture.

Un tema di queste letture mi sembra essere quello della prova, dell’essere messo alla prova. Anche San Paolo ne parla usando la metafora dello sport: come gli sportivi vivono le loro prove, ovvero le gare, per raggiungere un traguardo e un premio, così anche noi viviamo la fede.
E’ un tema interessante che sembra oggi diventato fuori moda. Tutti quelli che hanno compiti educativi sanno bene che oggi le prove sono vissute con grande ansia e per questo si tende più a proteggere e ad accudire i ragazzi che ad abbandonarli alle loro prove. Le prove della vita ci mettono in ansia anche quando non le viviamo noi stessi: le mamme sono talvolta più in ansia dei figli quando essi devono fare i loro esami e i padri per la partita di pallone del piccolo. Pietropolli Charmet, psicologo che si occupa di educazione, ha scritto un bel libro sulla mancanza di “riti di passaggio” nella nostra società e su come l’assenza di prove iniziatiche crei dei giovani perennemente fragili nella loro identità.

Dunque, un’immagine contro corrente quella di oggi. Anche la nuova traduzione del Padre nostro sembra allontanare sempre più l’idea che, al contrario, dobbiamo affrontare per forza delle prove e delle fatiche. Il tempo della Quaresima vuole essere anche questo: tempo della prova, tempo della rinuncia, tempo dell’allenamento nella fede. Quello che c’è in gioco (il premio che ci aspetta) è troppo importante perché si possa rinunciare: la nostra vocazione, il senso del nostro affaticarci nella vita, la tenacia del nostro sperare.

Ogni prova della fede penso anzitutto abbia a che fare con il senso delle cose. Possiamo sopportare molto stress, un lungo deserto, ma se abbiamo un senso, se possediamo una meta e uno scopo allora non è un correre a vuoto e un faticare per nulla. San Paolo dice: non è un tirare pugni al vento (come i pugili) o un correre senza meta. Possiamo passare anche dei periodi sereni e privi di prove, ma se non possediamo la certezza di un significato del nostro agire prima o poi cadiamo.

La prova mette sempre il crisi il perché e lo scopo. E il perché e lo scopo spesso mettono in crisi il “per chi?”, per chi sto facendo tutto questo. Così, nelle tentazioni di Gesù nel deserto: quello che sta insinuando il Satana non riguarda solo la soddisfazione di un bisogno, ma la relazione con il Padre.

C’è un secondo aspetto che mi colpisce sempre, nelle “prove” di Gesù. La tentazione ha sempre una dinamica temporale. Ogni tentazione è sempre una promessa di avverare subito qualcosa. Come se il pane si potesse ricevere subito, senza la fatica del lavoro, senza la pazienza del coltivare. Come se il successo si potesse raggiungere subito, senza la sforzo e il tempo di spiegare, di tessere relazioni con il rischio di essere fraintesi. Il Satana promette sempre un “subito” che salta l’attesa nel quale si impara il vero desiderio, la propria consistenza, le relazioni importanti che ci costituiscono. Il Satana promette un “subito” senza il bisogno di una storia, compresi i suoi errori. Ma senza storia, senza memoria, siamo privi di identità. Infondo, il Satana cerca di rubarci la nostra identità, convincendoci della inutilità della nostra storia, del tempo e della fatica.

Molte persone che vivono le loro prove, come una malattia o una difficoltà in famiglia, talvolta vorrebbero avere delle risposte subito. Passano due anni e non accade nulla, passano tre anni e ancora nulla… poi però accade che si guardino indietro e che capiscano molto di più di quanto capivano nel mezzo della loro tempesta. Magari non tutto, però a volte di più. Tuttavia, non si raggiungono questi piccoli traguardi di fede per magia o con la “chimica”…

Ecco la vera tentazione: non tanto negarci qualche desiderio, quanto gettare un sospetto sulla nostra vocazione e storia, su ciò che fino ad oggi sono state le cose importanti, le cose che ci hanno lasciato molto (contro quelle che si sono rivelate come cenere). Iniziare a dire a noi stessi: “forse mi ero sbagliato”, “forse ero troppo giovane” e iniziare a negare la bontà di quello che abbiamo davvero sperimentato e la fede che abbiamo incontrato. La vera tentazione è sempre rinnegare la nostra vocazione.