I domenica di Quaresima

Is 58, 4b-12b; Sal 102; 2Cor 5, 18-6,2; Mt 4, 1-11

Dove non si soffre per problemi economici o malattie fisiche, il malessere più diffuso deriva da una fragilità o crisi di identità. Cosa intendo? Non ci manca nulla eppure avvertiamo un disagio che non sappiamo ben spiegare. C’è una crisi di identità dei padri, delle donne, dei giovani, dei preti, dei cristiani e praticamente di ogni altra figura umana che una volta sembrava capace di plasmare l’identità personale dei soggetti interessati. E’ come se ci si chiedesse continuamente: cosa devo “fare” o come devo “essere” per fare il buon padre, per essere un giovane non più adolescente ecc… senza arrivare mai a una risposta definitiva. E’ come se le categorie e i modi di qualche decennio fa, magari prima un po’ rigidi, non bastassero più. Anche per i cristiani ritorna questa domanda: chi è il cristiano oggi? Un ragazzo può avere una nonna cattolica praticante, un padre ateo, una madre credente non praticante, una zia suora e uno zio mussulmano… a cosa verrà educata? cosa sarà?

Il disagio è certamente dovuto alla rapidità di alcuni cambiamenti, a un contesto frammentato e in continua evoluzione, al crollo di alcuni valori di riferimento nei quali prima ci si riconosceva. Oggi tutto è sotto discussione: la famiglia, il matrimonio, i tempi del lavoro (la domenica), la sessualità, il volersi bene… Tutto pare davvero libero e liquido. Ma tutta questa liquidità non ci aiuta a capire la nostra identità, a vivere sicuri di noi stessi e delle nostre scelte. Paghiamo come prezzo un malessere strano che ci rende un po’ depressi e molto vulnerabili.

Perché cito questo fatto della nostra cultura ambiente? Perché penso che le tentazioni raccontate in questo Vangelo, come il tempo forte della Quaresima, tocchino la stessa questione: come scoprire la nostra identità o vera vocazione. Sembra che anche per Gesù non sia andato diversamente: ha dovuto attraversare un tempo di crisi, un tempo dove nasceva la tentazione di un’altra strada, la tentazione di vie più facili o diverse. Questo lo ha portato a scoprire più veramente la propria identità di Figlio. Non è un caso che solo dopo questo episodio Gesù inizi la sua predicazione. In altri termini: non si può scoprire chi siamo, diventare persone adulte e solide che vincono il malessere della fragilità, se non “essendo stati provati nel deserto”.

Il tempo della tentazione è dunque anzitutto il tempo dove si consolida o si scopre l’identità, ciò per cui la nostra vita ha senso. Possiamo leggere anche così ogni suggerimento quaresimale: il digiuno, il fioretto, la penitenza, la preghiera, la carità… Noi non facciamo tutto ciò per spirito masochista o per far contento Dio, ma perché è l’unica strada per non fuggire realmente a noi stessi. Ciò che c’è in gioco è ciò che di più importante abbiamo: scoprire chi siamo e cosa ci fa stare in piedi. La tentazione non è dunque solo resistere da qualcosa che sappiamo essere male, ma smascherare un inganno, ciò che potrebbe apparire anche come un bene. Solo tale prova consente a te stesso di capire quanto vale la tua parola, quanto vale quando dici a qualcuno “ti voglio bene”. Puoi conoscere il tuo valore quando hai resistito a qualche tentazione e sei diventato diverso: adesso puoi reggere molti rischi e molti azzardi che prima non avresti mai potuto permetterti. Così fu da Abramo fino a Gesù e non sarà diverso per noi. Se il nostro tempo ci vuole far credere che la vita non ha “prove” o “tentazioni” vere, ma si può seguire liberamente qualsiasi nostro desiderio… pagheremo il prezzo di rimanere sempre fragili e insicuri.

C’è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare. Il racconto delle tentazioni è sempre stato per me una grande promessa che il bene è realmente possibile e alla nostra portata. Non è vero che l’uomo deve per forza soccombere alla tentazione. Non lo vediamo solo in Gesù, ma in tanti esempi di vita che abbiamo conosciuto e per i quali possiamo dire: “che bella persona”, “che grande vita”…
Dobbiamo percepire questa promessa alla nostra portata, altrimenti ci sentiremo sempre schiavi di ciò che forse neanche vorremmo seguire. Essere uomini è continuare a credere nella realizzabilità di questa promessa: che l’uomo possa reggere il peso della sua libertà. Così era anche in Genesi: a Caino viene detto “il male è accovacciato alla tua porta ma tu puoi resistergli”. Questo puoi è la promessa che ci rende realmente umani.