I Domenica di Avvento

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Iniziamo oggi l’Avvento. Sei domeniche ci porteranno al Natale meditando i modi con i quali Dio si fa vicino nella storia. Un’unica domanda tesse in fondo questo tempo: “dove sei Dio?” Come quando i più giovani ti chiedono: “dimmi come fai a dire che c’è Dio”, “dov’è Dio?”

Una delle gioie di questo tempo resta scoprire che arriverà Natale e ben prima di aver potuto dare una qualche risposta alla nostra domanda, ci si accorgeremo d’un tratto -talvolta all’improvviso- che sì, “già c’eri Signore”. Ed era come averlo da sempre saputo. Tu eri già misteriosamente vicino, Signore, perché sei tu che vieni nella storia e in una vita che non avrei pensato così. Sei tu che vieni e noi, per quanto possiamo meditare i modi del tuo venire, non possiamo farti nascere.

Anche per questo il Natale non medita soltanto la venuta storica di Gesù, duemila anni fa, ma anche -allo stesso tempo- la sua venuta futura, il nostro desiderio di Dio, il suo apparire universale o personale nella storia.

Due osservazioni traggo da questo vangelo sui modi in cui Dio si fa vicino ed è presente nella nostra vita. La prima nasce dalla frase di Gesù ai discepoli, preoccupati e incuriositi da una imminente catastrofe. Gesù dice: guardate di non allarmarvi. Per quanto la scena dal lui descritta appaia dura e feroce (carestie, guerre, prigionia…) essa non deve allarmare: sono accadute, accadono e accadranno ancora, ma non sono il Signore! Dentro quell’agitazione o quella paura non troveremo il Signore.
Credo si possa trarre questa indicazione: nella nostra vita il Signore non viene quando ci allarmiamo, quando viviamo agitati per il nostro futuro, quando siamo in ansia per quello che ci potrà accadere. I tempi sono in qualche modo sempre “terribili”, la società è sempre “senza valori”, le persone sono sempre “un po’ smarrite”. Ma questo non è il Signore. Le Chiese saranno sempre “troppo vuote” e i figli saranno sempre “troppo lontani”, ma questo -dice Gesù- non ci deve allarmare.
La contemporaneità come spettacolo della fine del mondo in diretta, per via della crisi, del clima, della politica, del lavoro, dei giovani… non è la venuta del Signore. “Guardate di non allarmarvi” è la prima indicazione.

La seconda osservazioni è invece quasi opposta alla prima. Se il Vangelo pare dire di non allarmarci davanti alla violenza del mondo e dell’uomo, ugualmente pare dire di non rimanere passivi, cinici o di restare con le braccia incrociate. Occorre “predicare il Vangelo in tutto il mondo”, occorre non stare fissi e incantanti a guardare le mura gloriose del tempio o i nostri successi personali.

Non attendersi più nulla dalla vita penso sia il secondo grande male che ci impedisce di incontrare il Signore. La morte del futuro, come la chiamano alcuni, sarebbe la sensazione che ormai le cose sono state fatte, che tutto è uguale, tutto si ripete, i difetti sono sempre gli stessi e davanti abbiamo solo il ripersi di settimane o anni in fondo tutti uguali. Non ci sono desideri profondi, aspettative, attese che valgano davvero il nostro impegno. Al massimo il desiderio di una vacanza tra il tempo di un lavoro e un’altro, ma dalla vita abbiamo smesso di sperare. Il tempo del desiderio e del progetto pare alle spalle.

“La morte del futuro” è una grave malattia del nostro tempo che accade a qualsiasi età. Ci sono adulti intolleranti nei confronti di quelli che chiamano “spacciatori di illusioni” giacché non vogliono più illudersi e si irritano facilmente quando la vita si rivolge loro con un volto seduttivo inducendoli a sperare ancora un po’. Allora devono mettere a tacere con rabbia dentro di sé quel pensiero o quella persona incantatore che ieri li ha illusi e oggi non vuole riconoscere di non avere nulla da dare realmente, ma solo illusioni.

Gli adulti ce la fanno a sopravvivere a una vita che “non attende più nulla”, fatta di giorni sostanzialmente uguali. Vivono male, ma sopravvivono grazie a mille stratagemmi o piccole fughe e distrazioni. Quello che mi fa impressione è che invece i giovani e gli adolescenti non ce la fanno: è troppo insopportabile non avere nulla da attendere a da desiderare, nessuno per il quale valga la pena lottare e allora si aggirano come parassiti tra il divano e il letto fino alla ricerca di quale anestetico.

Desiderare, sapere che la vita è un cammino nel quale imparare a sorridere. Non si tratta di “sorridere” come gli ingenuo o gli illusi o come i vari Joker -proprio giocando sul paradosso- ci insegnano, ma di quel sorriso profondo, interiore, di chi ha conosciuto il dramma della vita ma non se ne è fatto sommergere. Chi sa che alla fine -per quanto potremo fare o meno, per quanto andrà male- pure arriva Natale. E forse anzitutto per questo, per il Natale che viene, possiamo dentro di noi anche come sorridere.