I domenica di Avvento

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Cosa ci aspettiamo dal futuro? Cosa attendiamo, se ancora attendiamo qualcosa?
Penso che questa domanda sia sempre sottesa all’Avvento, tempo appunto dove torniamo ad attendere, ad essere tesi verso qualcosa. Ma cosa costituisce il nostro desiderio?

Potremmo porre questa domanda ai discepoli e ai contemporanei di Gesù. Loro si attendevano qualcosa: lo “jom Adonai”, il “giorno del Signore”, come lo descrive Isaia nella prima lettura. In altre parole, attendevano un riscatto, una giustizia, la fine di una oppressione che vivevano e che stava sotto i loro occhi. Essere liberati dal peso dello straniero, dalle differenze sociali, dalle malattie, dalla prigionia… Attendevano l’arrivo di un Regno diverso da questo.

Per questo chiedono a Gesù quando arriverà e quale segno per capire il suo arrivo. Perché, questo “jom Adonai”, comportava anche una lotta finale, una battaglia finale che avrebbe portato l’arrivo di questo nuovo domino. Invece, Gesù corregge questa attesa e questa domanda, corregge l’attesa stessa di Giovanni Battista e anche quella dei discepoli. Lo “jom Adonai” non sarà come se lo sono immaginati, come anche Isaia pensava. Lo “jom Adonai” non sarà una guerra –nessuno vi inganni –dice Gesù– non ci sarà nulla di buono nelle guerre e nelle carestie che seguiranno: non saranno guerre e lotte “teologiche” ma solo guerre tra uomini come ce ne sono state e come sempre ce ne saranno.

E Gesù, che voleva bene ai suoi, si preoccupa che se ne stiano fuori, che scappino, che vadano sui monti a proteggersi… In effetti, così faranno i cristiani e quando i romani inizieranno le loro spietate guerre giudaiche loro non prenderanno posizione con gli altri ebrei, per esempio gli esseni che verranno così annientati. Gesù ha grande cura: non c’è ideologia, non c’è giorno di liberazione, scappate! Voi donne guardate di non essere incinte in quel momento! Via sui monti. E anche quando metteranno le mani su di voi, non preoccupatevi che ci sarà una verità dentro di voi che vi difenderà e vi dirà cosa dire o cosa pensare.

Un gesto commovente di cura verso il dramma ideologico delle guerre: non c’è Dio in quelle guerre! Date piuttosto la vostra testimonianza quando vi sarà chiesta nei tribunali, mostrando a chi vi accuserà la verità della vita, quello che lo Spirito stesso vi suggerisce. Da una parte la descrizione della distruzione, dall’altra subito la cura e la consolazione per i suoi. Certo gli voleva bene e gli ha salvato la pelle (letteralmente).

Si potrebbe attualizzare questa pagina? Anche troppo facilmente direi. Il nostro temo torna ad avere paura del domani e i venti di guerra si alzano da molte parti. C’è una guerra commerciale agli inizi tra Cina e Stati Uniti, c’è una Europa che si frantuma, ci sono disuguaglianze che aumentano e con esse aumenta la protesta dei più poveri (sempre più inascoltata e strumentalizzata)… C’è una economia che è tornata in regressione e un cristianesimo che sembra morire, al suo tramonto. C’è un periodo di crescita e di pace che sembra essere stato per alcuni quasi troppo lungo…

Gesù direbbe: non siate ideologici. Se serve mettetevi in salvo, non pensate che lo scontro porti l’instaurazione di un regno migliore. Date la vostra testimonianza in tempo di fame o di prosperità, il Regno è da un’altra parte e si costruisce in altro modo. Quello che vi aspetta è un’altra cosa: è l’incontro con il Signore. Che sia l’incontro finale, di tutta l’umanità nella sua fine e nel ritorno glorioso del Signore, o che sia l’incontro personale di ciascuno con lui, cosa importa? A questo siamo destinati e non c’è cosa più bella che sapere che un abbraccio con il padre ci attende. Non dobbiamo certo morire di paura come faranno gli altri. Gesù darebbe tutta la voce che ha per rassicurarci come ha fatto con i suoi.

Guardavo qualche giorno fa un documentario sulla fine della seconda guerra mondiale. Il commentatore diceva che l’Italia era andata ai trattati di Parigi da sconfitta, un paese devastato, affamato, povero… dilaniato anche al suo interno da infinite divisioni perché la resistenza partigiana non fu semplicemente una lotta contro gli invasori tedeschi, ma fu una specie di guerra civile interna al paese. Eppure, aggiungeva il commentatore, era un paese dove non mancava la speranza, ognuno aveva affrontato la sua “notte”, personale o sociale, e sperava nel futuro, credeva che il domani sarebbe stato meglio dell’oggi e che il dopodomani sarebbe stato ancor meglio del domani. Oggi, che invece siamo in una situazione infinitamente migliore se pensiamo al futuro non pare abbiamo molto da sperare di buono o da attenderci. Non è che ci siamo dimenticati di desiderare qualcosa di buono, della speranza cristiana? La speranza cristiana non è che le cose andranno bene, ma che le cose –comunque andranno– avranno il Bene come loro fine, avranno l’incontro con Dio. Forse abbiamo di nuovo bisogno di Avvento.