Gv 17,20-26 – VII Pasqua, giovedì

In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, così pregò: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

C’è una cosa che è solo della fede cattolica: si può pregare anche “per altri”, non solo “per questi”. Sono “gli altri” che non conosciamo direttamente e che non cadono sotto i nostri occhi immediati, non fanno parte del gruppo. Si può, vale ugualmente, è efficace comunque. A volte si è un po’ abusato di questo. Da queste parti non si prega più per i propri amici ma quasi solo per gategorie astratte di persone (preghiamo per i poveri, gli ammalati…). Va bene. E’ un brutto abuso che perde quella sintonia di fondo che è la certezza di essere in comunione con queste persone. E da questa comunione (già) data trae la forza di pregare anche per loro (poveri, ammalati o altro che siano). Non è invece (come si pensa) l’universalità in sé, la sua democrazia (non facciamo particolarismi e non dimentichiamo nessuno), che fa la preghiera.     

Va bene, in ogni caso -abusi a parte- è sempre stato dei cristiani sapere di dover abbracciare (nell’intimo della sua radice) molta più gente di quanta cade sotto il nostro sguardo superficiale. E’ il suo carattere “cattolico”. Anche nell’abuso, questo dato non si è mai perso, perché il Signore sembra avere un particolare antidoto contro chi pensa di essere da solo (magari come principio e fine, senza vedere che il nostro tempo inizia con un bet e non un aleph- vedi Neher). E’ la sua stessa vicinanza (unità) che da questo slancio, è nel suo DNA. Il suo essere cattolico non va aggiunto dopo come qualità accessoria. Al contrario, è la cartina di tornasole della sua vicinanza alla preghiera del Signore.

E questo carattere universale è qui descritto all’opposto del nostro universalismo odierno. Intendo quello per il quale ci sentiamo tutti abitanti di un unico mondo, tutti parte di una grande famiglia, tutti sintonizzati sugli stessi canali… Questo rimane solo uno dei tanti detriti della globalizzazione. Qui invece non c’è alcuna sintonia empatica e non si tratta del “mondo”. Ci sono quelli che sono del padre e credono in lui (e non decidiamo noi). Con questi condividiamo la stessa gloria , lo stesso luogo, lo stesso amore e la stessa conoscenza… E’ da questa identità profonda (nulla di esterno a noi, ma le cose che ci fanno dire “qui sono io”) che nasce la preghiera comune. E pur vivendo tempi infinitamente lontani e vite diversissime e senza bere tutti la stessa Coca-Cola, da questa radice abbiamo la certezza della nostra vicinanza, del nostro desiderio buono anche per l’altro.