Giovedì Santo – Messa in Coena Domini

Gn 1,1-3,5.10; 1Cor 11,20-34; Mt 26, 17-75

Siamo al cuore della vicenda del Signore, momento decisivo lungamente atteso e annunciato. In questa cena rimane solo il Signore con “i suoi”, con quelli che non sono andati via, quelli che –pur non capendo tutto– hanno continuato a seguirlo, non sono stati presi da altro da fare nella vita — perché nella vita sembra tante volte che ci sia sempre altro da fare… Non sono i migliori, non sono quelli che conoscono la teologia (e la donna Cananea, dice Gesù, ha più fede dei dodici), ma sono quelli che in ogni caso hanno voluto bene a questo Maestro e hanno deciso di seguirlo, come noi questa sera se in qualche modo ci riconosciamo così.

Cosa emerge? Che per loro c’è in gioco tutto. C’è in gioco il senso di quella morte e, insieme ad esso, il senso di ciò che c’è stato, di quella relazione, di quell’affetto, il senso della fatica di quegli anni (in giro, su e giù per i villaggi…). E vorrei che fosse così per noi. L’eucaristia, il pane spezzato di Gesù, la memoria di quella cena, o ha a che fare con il senso dei miei affetti, del mio voler bene che sembra così fragile, oppure non serve a nulla.
Perché l’eucaristia non è un rito scaramantico per propiziarsi Dio e se non si va a Messa chissà cosa succede… E non è neanche l’onorare una tradizione, come se Dio avesse bisogno dei nostri onori e dei nostri riti. Qui invece c’è in gioco il senso di un sacrificio e dunque il senso dell’affetto e dell’amicizia, quella reale che Pietro voleva a Gesù, che Giacomo o Andrea volevano a questo Maestro che sta per morire. Quella reale che c’è tra di noi, con i nostri figli, con nostra moglie…

In questo momento Gesù, contro ogni sospetto e ogni fraintendimento (sull’amore e su Dio), mostra ai suoi la verità di Dio e la verità di ogni legame che è questa: “accogliere e riconsegnare” tutto, senza nulla trattenere per sé. Abbiamo ascoltato Paolo: “quello che ho ricevuto a mia volta l’ho trasmesso a voi”. E Gesù: “prendete e mangiate” e poi “fate…”. La mia morte è la riconsegna della mia vita perché voi (voi discepoli) non moriate, perché non mettano in croce voi. Si consegna per proteggerli dai Romani e dal sospetto invincibile che Dio ci chieda qualcosa per sé e che ogni dono, ogni riconsegna, sia in fondo soltanto una perdita.

“Accogliere e riconsegnare”, questo è il senso di ogni legame, di ogni affetto che non tema la morte. C’è un pane e un corpo che ci è dato, perché lo accogliamo e lo riconsegnamo per gli altri. Nessun affetto sdolcinato a due o “due cuori e una capanna”. Ogni affetto vero è invece quello che si compie in questo gesto: vita ricevuta e riconsegnata al Padre.
Non lo sanno bene i genitori che vedono crescere i figli? Sono forse per loro i figli? Non sta proprio qui forse la fatica di ogni legame? Nell’accogliere l’altro ma poi nel “mollare la presa” per non “divorarlo” nei nostri progetti… Non c’è in ogni legame, nel cuore do ogni legame vero, qualcosa da “accogliere e subito da riconsegnare”?

Tutti i fraintendimenti di questa notte sono sul sospetto che lotta contro questo “accogliere e riconsegnare”. Perché Giona scappa? Perché è duro per lui “accogliere” la sua vocazione. Così come –possiamo dirlo?– è duro “accogliere” davvero uno che ci ama, “accogliere un abbraccio… Non è forse difficile per Pietro lasciare che Gesù gli lavi i piedi?
Al tempo stesso, è duro per Giona consegnare il perdono agli abitanti di Ninive, come è duro consegnare la vita, consegnare il Maestro all’orto senza estrarre la spada, o consegnarsi alla verità smascherata della servetta nel cortile senza mentire, come fa Pietro.

Interessante: solo la memoria della parola di Gesù, farà riconoscere a Pietro il suo errore e lo farà piangere. Così, attraverso quella memoria, Pietro capisce e così toccherà anche a lui accogliere quella parola che gli era stata consegnata, quel lasciarsi lavare i piedi, quel prendere il corpo del Signore (così come si è!) e poi accettare quel “perdono” dopo quel pianto… e poi toccherà anche a lui riconsegnare tutto questo, senza trattenere nulla per sé, senza trattenere neanche la vita. E Pietro lo sa, come forse nel fondo lo sappiamo anche noi ogni volta che cerchiamo davvero di amare imitando Gesù.