Gc 2,14-24.26 – VI per annum, venerdì

Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano! Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: “E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia”, e fu chiamato amico di Dio. Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

Questa sera mi è capitato un incontro che ha dato più senso alla riflessione di Giacomo. E non me lo sarei aspettato, ci andavo per stima verso un amico che mi aveva invitato. Invece è stato un vero incontro. Ho visto un uomo davvero semplicissimo, di una semplicità disarmante e ormai rara anche tra i preti: Ernesto Olivero. Un omino basso, stempiato, un poco balbuziente, dal dentini storti che si intravedono nel sorriso. Ha parlato delle opere del “Sermig”. Ho capito che questo discorso delle “opere” c’è modo e modo di dirlo: si vede subito se le esortazioni sono mosse dalla fede, se chi le dice le ha sperimentate. Non è un fatto di discorsi sbagliati o esatti, è un fatto del tono di voce, delle spressioni, delle pause, degli occhi… è un dato spirituale. Le stesse cose dette in altro modo suonano false o scontate. Si può dire: “fate le opere della fede, perché la fede fa cose e sposta montagne”, è giusto (anzi, oggi si continua a dire e mai a fare – la nostra è la pastorale dei corsi e ci si chiede quando si possa soltanto fare) ma dipende tutto di chi le dice, dal come le dice… Ecco: c’è una semplicità disarmante che viene dalle opere della fede mentre c’è un rimprovero alla pratica della carità che è solo retorica. Vedere ogni tanto delle parole che vengono dalla opere è testimonianza cristiana.
Olivero ci suggeriva questa regola: non dite mai cose che non avete fatto, o che non pensate, parole di circostanza, retorica. Mai. E se volete dire una cosa che non siete riusciti a realizzare, dite: questa cosa la vorremmo e desidereremmo tanto, ma non siamo ancora riusciti a farla.
In fondo, è lo stesso insegnamento di Giacomo.