Festa della Trinità

«Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà, Padre”»

Vorrei iniziare da qui per introdurre questa festa della Trinità.
E vorrei che faccessimo una osservazione sul nostro modo di guardare Dio, di abitare la Chiesa e la Preghiera, ma anche di vivere alcuni simboli della vita.

Un bambino che guarda la mamma, vede la donna che lo nutre… eppure vi assicuro che scorgerà anche la strega, la matrigna, la donna cattiva (le fiabe non sono costruite così?). Perché la natura che noi viviamo è sempre doppia. Nutre e rassicura ma anche avvelena.
Un amico è colui che cercavamo da tempo, è colui che finalmente abbiamo trovato eppure è il mio potenziale avversario, il mio traditore, lo straniero che mi toglie il lavoro.

Non ci credete? Prendiamo la parola “amore”. Amore è una parola bella, rotonda… eppure è la cosa più “doppia”, più ambigua che esiste. Già nell’antichità un filosofo, Empedocle, (questa è una cosa che riprenderà anche Freud) aveva capito che l’amore è una parola doppia: contiene perfezione e letizia, ma contiene anche distruzione e morte. Chiedetelo ai vostri adolescenti, quando smettoneo di studiare, di frequentare gli amici per una “lei”. Chiedetelo ai miti dei “morti per amore”. E dovremmo ricordarcelo tutte le volte che usiamo la frase “Dio è amore”, perché c’è una potenza distruttiva anche nell’amore.

E anche il nostro modo di pensare al sacro è abitato dal doppio. Non c’è vero spazio sacro affascinante che non sia un po’ misterioso e anche un po’ da temere. Da un punto di vista umano, se un po’ non si teme Dio, se non si teme il proprio futuro come può essere ancora interessante la religione? I film e gli scoop sul sacro non si basano su questo senso del mistero?
Il nostro senso religioso non è forse “Dio mandacela bene, perché non sappiamo”.
Non si battezzano  forse i i figli per questo? Ovvero perché qualcuno ce li protegga dalla fragilità della nostra vita.
Non ci sposiamo in Chiesa perché sappiamo quanto sia difficile vivere insieme del tempo e sperando che così Dio ci faccia andare bene questo “salto nel buio”?

Se percepiamo il nostro futuro così, chiamare Dio nella famigliarità con cui si dice “padre”, “papà” è davvero un fatto sconvolgente. Nessun uomo da solo nutre verso Dio, verso il suo futoro, questo totale affidamente, che gli permetta di dire senza ambiguità: padre.
Noi abbiamo visto che soltanto Gesù è stato capace di questo. Soltanto Gesù anche al Getzemani, ma fin dall’inizio nelle tentazioni, è stato capace di dire sempre e solamente “padre”, senza ambiguità.
E questo – quando siamo in grado di dirlo veramente – cambia davvero il nostro modo di vedere la vita. Significa una cosa molto grossa: significa anche che la nostra imperfezione, la nostra dipendenza da un altro, la nostra dipendenza dalla madre, dalla ragazza, dalla moglie, da Dio… non è un nostro difetto. La nostra domanda di aiuto non è il segno della nostra debolezza.

Trinità non è anche questo? Il fatto, che questa nostra dipendenza (liberata da ogni ambiguità) non è contro di noi, non è un nostro difetto, ma è addirittura la scoperta del Dio cristiano: anche Dio è proprio così. Anche Dio non se ne stà bene da solo, al punto che non è più lui senza il Figlio e senza lo Spirito, e nemmeno senza di noi che siamo ormai figli nel Figlio (!). “Dio non è più lui senza di me”, sembra una bestemmia, ed è invece è la scoperta di Gesù e la nostra scoperta di Figli! Una cosa più grossa di questa non la potevamo vedere. Ed è in grado di dare quella serenità nella vita che non vediamo in effetti in nessuno uomo che non sia abitato dallo Spirito di Gesù, come anche oggi ci ricorda Paolo.