Festa della Santa Famiglia di Gesù

Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23

Penso che il tema del legame genitore-figlio sia questione attuale e meriterebbe una riflessione approfondita. Per noi cristiani, mi aspetterei una riflessione meno fatta di slogan, meno riferita alle correnti della moderna psicologia e un po’ più coraggiosa. Non nell’ottica di chi difende qualcosa perché si sente minacciato. E se è vero che bisogna anche andare in Egitto (o a Roma) per difendere i propri figli dalle “potenze del mondo”, pure dall’Egitto bisogna poi ritornare. E il Signore sa anche lui, senza illusioni ma con un sano realismo, che da queste “potenze” dovrà tante volte anche nascondersi: a Natzaret, tra la folla quando volevano lapidarlo, nel deserto quando uccidono Giovanni… Non sempre le “potenze” del mondo, che dettano le loro leggi, possono essere affrontate di petto. Le “potenze” sempre fanno e faranno il loro gioco: non sono interessate ai “figli”, né ai “padri”, ma sono preoccupate del loro potere, della loro immagine. Come Erode, esse legiferano solo per questo. Non hanno mai provato ad insegnare in una classe di “figli” senza “padri” o senza “madri”, non sanno cosa sia l’orfanezza, né capiscono il vuoto di genitori o di nonni che vedo “perdersi” i propri figli. Non dobbiamo stupirci di questo, ma tenere a mente i nomi e cognomi dei nostri cuccioli.

Tante cose dovremmo dire su questa “orfanezza”, dove una paternità o maternità riuscita viene fatta dipendere troppo spesso dalla corrispondenza o dal ricambio dell’affetto dei figli, come se il comando dicesse: “sei padre quando tuo figlio ti onorerà”. E invece non è così. E’ anche interessante che questo quinto comando sia l’ultimo dei primi cinque comandi che riguardano la dimensione “verticale dell’uomo” e non quella orizzontale. A suggerire che questa paternità deve alimentarsi da un’altra parte rispetto al rapporto orizzontale con i figli, perché se dipende da esso, non è una vera paternità.
Si potrebbe parlare molto su questo, ma non mi dilungo.

Vorrei invece mettere in luce una buona notizia che è insita nella scoperta cristiana perché Vangelo significa pure “buona notizia”. Se non siamo superficiali capiamo subito che nel rapporto genitore-figlio c’è sempre insediato potenzialmente un conflitto. Proprio perché al tema del figlio è sempre legato il tema dell’eredità (come nella prima lettura, del resto in “patrimonio” c’è la parola “padre”) e il tema della propria identità (nel figlio mi rivedo, il figlio prolunga la mia opera), c’è sempre un potenziale conflitto. E’ quasi impossibile tagliare il proprio cordone ombelicale e diventare adulti senza un conflitto o uno scontro con i genitori. Tutta la letteratura da sempre ne parla: pensate alla figura di Geltrude, a re Lear di Shekpeer, alla lettera di Kafka al proprio padre… Con due derive estreme: o essere in qualche modo vittima dei propri genitori (subirli) oppure essere carnefici (sia pure metaforicamente, magari tagliando totalmente i ponti).
Potremmo dunque pensare che noi siamo per forza destinati a questo, a vivere dentro questa opposizione strutturale, o almeno minacciati da questo.

La cosa che mi stupisce del Vangelo è che Gesù vive la sua identità di figlio in relazione al padre e non in opposizione al padre. C’è un padre che non minaccia più l’identità del figlio e c’è un figlio che non vive la relazione con il padre come un antagonista. E’ una rivoluzione e tocca una paternità che non è “della carne” o il semplice “fare dei figli”.
Questo modo nuovo di essere “Padre” da parte di Dio, che si rivela in Gesù, non come possibile antagonista del figlio o di noi uomini (Nietzsche diceva: “o io o Dio” perché intuiva che per entrambi non c’era posto), può fondare in modo diverso anche il nostro possibile modo di essere “padri” e non semplicemente verso i nostri figli naturali “di carne”.
Detto con un esempio: possiamo vivere il lusso di lasciare andare i nostri figli per le loro terre e dargli la loro parte di eredità (il figliol prodigo) senza sentirci minacciati di essere stati genitori falliti. Possiamo vivere il nostro essere padri senza chiedere a loro di adorarci o di onorare i nostri progetti o di sacrificare qualcosa per noi… E’ su un altro modello che traiamo la nostra paternità. Lo sappiamo perché viviamo il nostro rimanere figli, non schiacciati da un Padre, come Gesù è stato figlio del Padre.
Sono convito che se guardiamo a quella relazione, se sappiamo cosa sia il nostro essere figli, sapremo anche più facilmente essere padri sia per i nostri figli di carne che per molti altri.