Festa della S. Famiglia di Gesù

Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23

Provo a mettere da parte molte osservazioni che potremmo facilmente fare su queste letture o su questa festa.
Tralascio di raccontare i fiumi di inchiostro spesi su questo “sarà chiamato Nazoreo” che, al di là di facili letture, non si capisce davvero quale profezia richiami.
Tralascio di contestualizzare la prima lettura che è stata così travisata dalla liturgia di oggi. Essa parlerebbe di Mosè (anche se il versetto è stato tagliato) e non si capisce davvero con quale criterio sia allegoricamente riferita a Giuseppe. Ce lo spiegheranno i liturgisti che hanno messo insieme queste letture…

Si potrebbe anche facilmente parlare dei valori della famiglia, magari a partire dalla seconda lettura –anch’essa brutalmente sradicata dal suo contesto originale che parla della novità assoluta dei rapporti che vivono fondati sulla fede in Gesù Cristo (“Nel timore di Cristo siate sottomessi gli uni altri altri”). Ma ne uscirebbe troppo facilmente il quadretto della famiglia medio-borghese tanto moralistico quanto irreale, nel quale tutto procede bene e sembra uscito da un bel romanzo: mamma e papà si vogliono bene, i figli studiano e sono obbedienti, il lavoro non manca e si va anche a Messa la domenica…
Io mi chiedo: ci sarebbe bisogno di Gesù Cristo per affermare questo ideale? Questa è la realtà? Non è forse molto più drammatica e lontana la vita vera?

Io oggi non ho letto questo. Ho letto invece che la vita di Gesù è nata fin dall’inizio sotto il segno di un pericolo, faticosamente schivato da una fuga non facile, coraggiosamente affrontato nel ritorno. Ho letto di un Gesù nascosto ai margini –per non dire lontano– da quella “perfetta” vita giudaica. Giorni vissuti in una regione di Israele immischiata tra i pagani, ben lontani dalla santa Gerusalemme –così era la Galilea del tempo.

Trent’anni nel nascondimento quotidiano di una vita dura (penso ai 20 km al giorno per andare a lavorare nella vicina Seffori). Senza mai un proclama su Dio, senza miracoli, senza neanche la gloria di un racconto. Trent’anni! Un’eternità, anche solo a dirlo. E non erano la preparazione o il preambolo, ma si trattava già della vita piena del figlio di Dio. Anche quei trent’anni, o forse, sopratutto quei trent’anni! Infatti, quanti richiami nel Vangelo a questo lungo tempo di silenzio:
“Quando preghi, chiudi la porta della tua camera e prega nel segreto. E Dio, che vede fin nel segreto, ti ricompenserà.”
“Uscì di casa alla mattina presto e andò in un luogo solitario”. “Mettiti d’accordo con il tuo compagno di viaggio prima di arrivare alla meta…”
E poi: “La donna che spazza la casa”, “il contadino che semina un campo”, “i ragazzini svogliati sulle piazze”, “quelli in cerca di un lavoro”…

La rivelazione è la conformazione di Dio alla nostra quotidiana esistenza: lavare i piatti alla sera, portare i figli a scuola, il bollo da pagare… asciugare qualche lacrima, rimproverare… nulla di tutto questo è troppo sporco, troppo basso, troppo semplice per non essere vissuto da Gesù e dunque per non essere un luogo testimone di Dio.
Così è stato: senza grandi proclami o adunanze, senza catechismi, senza neanche chiamare i discepoli!
Non era vita del Figlio che valesse meno.

Mi viene subito in mente: quanto è lontano questo stile da quello che faremmo noi, dal nostro modo consueto di giudicare gli altri, dalla nostra fretta di avere subito. Dall’ansia di una Chiesa in affanno che perde i numeri.
E invece l’intimità con Dio non ama pubblicità, non ha bisogno di grandi cartelli, sa cosa cerca perché vive la quotidianità con l’intensità che le viene da Dio.

Forse dobbiamo ricordarci questi trent’anni di silenzio e nascondimento, almeno per marcare una differenza cristiana. Proprio in questi tempi di “campagne elettorali”, di “ricette economiche”, di “impegno” politico, di piazze, di toni alti e di proclami. Tutto importante, si intende, ma quale quotidianità silenziosa si nasconde dentro di noi? Sappiamo vedere anche in essa (dentro tutta la sua fatica) la vita stessa di Dio?