Immacolata concezione

Gen 3,9a-b.11c.12-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26b-28

La festa di oggi ha un’origine antica. Da sempre nella Chiesa, Maria è stata vista con una particolare grandezza di vita, come non riusciremmo a pensarla per noi. In cosa consiste questa grandezza di vita? Nel vivere in modo pieno la sua umanità, sapendo vedere –e quindi sapendo rispondere– nella quotidiana sua esistenza –quella quotidiana esistenza che a noi non dice nulla, dove noi non cogliamo altro che “dei fatti”– sapendo vedere una promessa di Dio per sé e per gli altri, un mistero di Dio presente, senza “ma” e senza sospetti. Vedere questo infinito di Dio collocarsi negli accadimenti quotidiani della gestione di un figlio, nella cucina, nella casa… Vederlo e rispondervi, dove anche noi non avremmo visto altro che una routine o magari il “figlio di un falegname”. In questa donna invece, per grazia, riconosciamo questa assenza del sospetto originario che chiamiamo “peccato”.

Questa percezione su Maria è sempre stata presente nella Chiesa. Per esempio, già nel 1200 Duns Scoto teorizzava, con il linguaggio della scolastica medievale del tempo, questa particolarità che chiamava “assenza del peccato originale in Maria”. Tuttavia solo nel 1854 Pio IX decide di trasformare questa consapevolezza antica in un dogma. Come mai così tardi nella storia della Chiesa? Cosa si voleva dire allora?

E’ questo un punto interessante: il ritorno a questa percezione avviene di fronte all’emergere di un pericolo nella modernità. Proprio in quegli anni prendeva piede un pensiero che è arrivato fino a noi e che si è chiamato in modi diversi: modernismo, materialismo o secolarizzazione. In sostanza, l’uomo ha iniziato a pensarsi in modo autonomo da Dio, libero in quanto artefice isolato del suo destino, nel senso che di Dio l’uomo non coglieva più il bisogno. Anzi, andava diffondendosi l’idea che la religione fosse un peso e un’ostacolo al libero autonomo muoversi dell’uomo. Mentre nella storia passata, non c’era uomo o società che non si siano pensati come rapporto con un dio o una divinità, quasi che non potessero davvero vedersi senza una relazione con l’infinito, con un destino… bene, a metà dell’800 nasce quell’ideologia moderna che pensa non indispensabile questo legame.
Detto come lo direbbe un mio studente: “don, io non prego più perché ho capito che sono solo io a farmi il mio futuro e la mia felicità”. Se anche Dio esiste è indifferente all’agire della mia libertà. Il resto (che sia un legame buono o meno con Dio) viene tutto considerato “superstizione”.

Di fronte a questo uomo solo, la Chiesa volle rispondere dicendo invece: guardiamo a Maria. Chi di noi può vivere di fronte al suo destino in questa solitudine eroica? E sopratutto chi di noi è davvero liberamente artefice di sé? Ciascuno non nasce forse che dipende già da una mamma, da una famiglia, da un contesto sociale? Chi di voi può dire: “ho deciso io di nascere in questa famiglia, con questi genitori?” Chi può dire: “ho deciso io di fare questi incontri o di avere questo carattere o questa faccia?”. Se pensassimo alla nostra libertà così, come autonomia di scelta, mentiremmo a noi stessi.
Invece cosa ha reso grande Maria? Il fatto che ha riconosciuto la sua vocazione e ha risposto a qualcosa che ha saputo vedere e che non si è scelta da sola. Qui sta la grandezza della libertà umana: nel rispondere a ciò che non abbiamo scelto, ma abbiamo visto e riconosciuto per noi. “Sia fatto di me secondo la tua parola” è la più grande espressione di libertà dell’uomo, per ciascun uomo. Sappiamo benissimo che esiste modo e modo di rispondere a ciò che non si abbiamo scelto: si può rispondere ai propri carismi buttandoli via, si può passare una vita maledicendo per qualcosa, oppure si possono passare i propri pomeriggi di adolescenti sul divano… In mille modi si può rispondere alla vita, ma c’è un modo che accoglie una promessa e c’è un modo che rifiuta. C’è un modo da uomo e c’è un modo che non è da vero uomo (onestamente non è difficile capire questa differenza). Qui risiede la nostra libertà e la nostra grandezza, non come autonomia da Dio, ma come il “fiat” di Maria.

L’ideologia materialista poneva anche una seconda questione: l’uomo liberato da Dio (da una relazione con Lui, lasciato libero e autonomo) ha in sé il desiderio di ricercare il bene, sa quello che vuole e cammina verso la sua felicità. L’ideologia liberista pensava l’uomo capace di abbracciare la sua felicità. Non c’è falsità più grande di questa! Le due guerre mondiali ce l’hanno ricordato. L’uomo non cerca la sua felicità ma il suo godimento e il godimento in sé non è cattivo, ma può diventare distruttivo o persino autodistruttivo. Questa sua ambiguità, il fatto che l’uomo è pure “violento” e “rapace”, sospettoso del bene dato a un altro, da sempre si chiama “originario sospetto dell’umano”.
Possiamo uscirne solo se torniamo a seguire qualcuno, solo se torniamo a non pensarci autonomi e accogliamo chi ci insegna una strada che ci liberi del nostro mortale sospetto su Dio e sugli altri. Ogni volta che diciamo l’Ave Maria possiamo tornare a chiedere tutto questo.