Esercizio di Giustizia

Vorrei iniziare questa meditazione commentando alcuni video che circolano su youtube e che forse avrete visto.
Sono i video per le campagne di sensibilizzazione alla guida, al rischio di usare il cellulare al volante, al rischio di bere prima di mettersi in moto.
Cosa accade, per esempio, in uno di questi? Una coppia è su un muretto che felicemente si bacia, quando una macchina, che azzarda un sorpasso, uccide il ragazzo della coppia, mentre la ragazza piange la perdita. In tutti uno è preso e uno è lasciato. Poi le scritte sono di questo tipo: riuscirai a vivere con questo rimorso e le immagini mostrano un giudice, una condanna, un ospedale ecc.

Ho voluto evocare queste immagini per dire una prima cosa: la questione della giustizia (perché è stata presa lei e non io… oppure cosa fare ora di quel ragazzo colpevole), la questione della giustizia nasce dentro di noi a partire da una evidente ingiustizia. E’ dalla ingiustizia che nasce in noi il senso di una giustizia.
Quando un amico tradisce diciamo: “non è giusto”. Quando a scuola un nostro compagno viene premiato senza merito, diciamo: “non è giusto”. Ecc. Perché è dalla ingiustizia che nutriamo un senso della giustizia.

I filosofi della antichità andavano pazzi, Platone nella Repubblica, per spiegare questa cosa: che tutti noi sentiamo stringerci il cuore, quando vediamo l’ingiustizia in atto e appunto diciamo “è ingiusto”. Ma perché – si chiedevano – tutti sulla faccia della terra provano questo sentimento? Perché per loro la giustizia si basava su un universale. La filosofia spiega un sentimento che è infallibile in tutti.

C’è però una differenza che voglio chiarire subito tra gli antichi e noi. Che gli antichi non avevano a disposizione un aereo, o internet, o un telefono e per questo non erano multiculturali quanto noi. Per noi anche il senso della giustizia e della ingiustizia può essere tradotto semplicemente come “cultura”. E’ una “cultura” che fornisce il concetto di “giusto” o “ingiusto”, attraverso l’educazione e gli istinti psicologici fondamentali che tutti hanno dal loro DNA (l’istinto di autoconservazione).
In sostanza c’è un nuovo panteon di dei che hanno un nuovo nome: culture.

Faccio qualche esempio un po’ scottante per rendere chiara la cosa. Per un italiano non è “ingiusto” copiare durante una verifica o avere dei bigliettini, o andare in bicicletta senza casco. Per un americano – ve lo assicuro perché mio fratello ha studiato in America – è una ingiustizia enorme o impensabile fare queste due stesse cose. Viceversa per un italiano, in media, è ingiusto (eccessivo) punire con la morte uno stupratore notturno magari un po’ malato, mentre per un Americano sarebbe assolutamente ingiusto non farlo.
Potremmo allargare la questione a tutti i temi etici, bioetici, o sociali che vediamo ogni giorno. Ma difficilmente ci metteremmo d’accordo se fossimo di culture diverse.

Una piccolo nota a questo riguardo. Il papa in tutto il suo pontificato continua a dire due cose che ha me sembrano già belle osservazioni:
(1) Non tutte le “abitudini” (i sentimenti di giusto o ingiusto) sono “culture”, possono vantarsi del titolo di “cultura”, ma ci sono anche delle “sottoculture” che magari vogliono imporsi nel panteon del pluralismo ma fanno solo male. La ragione umana è più grande delle culture (il papa ha grande fiducia nella ragione universale umana anche se non ci spiega cosa è) e può dire tu stai fuori: può dire tu che sei un ROM e pensi che sia giusto vivere rubando perché te lo insegna la tua cultura, non fai cultura ma sottocultura. Il ragazzotto bullo che minaccia il barista all’oratorio non è portatore di una cultura del disagio giovanile o della violenza che deve essere ascoltata anche essa, ma di una sottoculura. E il papa dice: la ragione umana se si apre al dialogo è sempre in grado di distinguere vera giustizia da falsa giustizia.
(2) Sia il pluralismo più estremo che dice che non esiste una giustizia universale (qualcosa che tutti diciamo “ingiusto”) sia l’integralismo estremo che dice che solo una è la giustizia, entrambe escludono il dialogo, escludono la ragione e sono da evitare. Anche il pluralismo, anche un pantheon senza arbitro (la ragione) infinito di culture tutte uguali!

Facciamo un ultimo passo. Cosa dice il Vangelo cristiano a questo proposito? Cosa pensa della giustizia e della ingiustizia? La cosa che mi sembra il nocciolo è questa: ovunque Gesù parli di giustizia, si parla del Regno. Le parabole sono tutte legate, i detti di Gesù (“cercate prima il regno e la sua giustizia” Mt 6,33).
Fin da Abramo: Abramo credette e gli venne accreditata come giustizia. Cosa vuol dire se non che la fede è legata alla giustizia? Che c’è una fede che genera una promessa che è giustizia. (ci torno).

Io dico così, nel Vangelo non si parla semplicemente di giustezza –che è il livello delle culture– ma appunto di giustizia.
Spiego. La giustezza è quello che dice Platone, è rendere ad ognuno il giusto: non fai del male e non devi riceverne, ne fai e ne ricevi con misura uguale. E’ la misura di qualcosa che si riceve a seconda di quello che si da. Così si codificano le leggi: azione e reazione. Fai questo e c’è una pena (giusta secondo la cultura).
Tuttavia, questo non è ancora il Vangelo. Gesù dice che qualcosa del vangelo sta accadendo quando -almeno sento!- che da qualche parte nel mondo ci deve essere una logica diversa di quella di una “legge”. Che 9 volte su 10 ogni quando applico una legge applico solo una giustezza e che per fare giustizia avrei bisogno di un Dio (ma questo almeno lo sento).

Leggere questa parabola così è fondamentale: si deve avere una qualche possibilità che il costo delle cose, il valore della giornata, si basi su valori diversi da quelli che spontaneamente diciamo giusti o ingiusti. Paolo direbbe così: proprio perché siamo debitori l’uno dell’altro di un amore vicendevole (e non di un sospetto vicendevole) abbiamo un metro di retribuzione che non è quello della giustezza.
Due conseguenze:
1) Questo si può fare solo a patto di eliminare il sospetto che nutriamo l’uno dell’altro che è il peccato del serpente. E su questo sospetto si basa la forma culturale della giustezza. Ma si elimina questo sospetto dell’altro solo se si incontra Cristo.
2) Questo deve almeno provocarci una certa inquietudine quando solamente siamo capaci di giustezza. Perché è l’inquietudine di chi attende il Regno, quando non è in grado di realizzarlo in questa storia.

Chiudo citando Manzoni, un uomo che aveva capito tutto questo perché osservava una cosa che pochi si ricordano di osservare. Abbiamo iniziato dicendo che è dalla ingiustizia che capiamo la giustizia. Ma – osserva Manzoni – il torto che faccio a uno non è solo il male fisico o morale, ma anche il sentimento di vendetta che gli inneschiamo dentro – anche quello è ingiustizia e non –come penseremmo– giustizia.

I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi.

(Cap. 2)

Come proposta vi consiglio di rileggervi il cap. 35 dei promessi sposi dove Renzo vuole fare giustizia sul suo criminale, ma è in un luogo che gli farà capire qualcosa della vita e del Vangelo.

– Già; intendo anch’io, – interruppe Renzo stravolgendo gli occhi, e cambiandosi tutto in viso; – intendo! Vo: guarderò, cercherò, in un luogo, nell’altro, e poi ancora, per tutto il lazzeretto, in lungo e in largo… e se non la trovo!…
– Se non la trovi? – disse il frate, con un’aria di serietà e d’aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva.
Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall’idea di quel dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripeté e seguitò: – se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro. O in Milano, o nel suo scellerato palazzo, o in capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò…
– Renzo! – disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente.
– E se lo trovo, – continuò Renzo, cieco affatto dalla collera, – se la peste non ha già fatto giustizia… Non è più il tempo che un poltrone, co’ suoi bravi d’intorno, possa metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino a viso a viso: e… la farò io la giustizia!
– Sciagurato! – gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripresa tutta l’antica pienezza e sonorità: – sciagurato! – e la sua testa cadente sul petto s’era sollevata; le gote si colorivano dell’antica vita; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile.
– Guarda, sciagurato! – E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l’altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. – Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che [p. 684 ]flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va’, sciagurato, vattene! Io, speravo… sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va’, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va’! non ho più tempo di darti retta.
E così dicendo, rigettò da sé il braccio di Renzo, e si mosse verso una capanna d’infermi.