Domenica di Pasqua – Messa del Giorno

At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18

Ci hanno insegnato, fin da piccolo, a guardare alla vita “reale” e a tenere bene i piedi per terra. Ci hanno invitato a “non sognare troppo” – come si dice – a guardare bene il male del mondo. A non confonderlo con le fiabe. Ci sono anche dei cartelloni – giustissimi, mi raccomando – che dicono: fidatevi solo degli amici. Il messaggio è quello di fare attenzione.
Tuttavia dietro queste affermazioni di “realismo” (non siamo “creduloni”) nascondiamo anche molto pregiudizio. Per esempio anche il fatto che una giornata debba essere uguale all’altra, che non accada mai nulla di veramente nuovo, che io sia sempre lo stesso e non cambi mai. La noia dei ragazzi non è questo in fondo? Non deriva forse dalla nostra “serietà del vivere”. Da questo finto realismo.
Essere convinti che la fede cristiana sia in fondo un bello slogan significa essere realisti o essere così pieni di pregiudizi da escludere a priori che nella vita si possa davvero cambiare, si possa davvero incontrare il Signore, o lo si abbia già incontrato?

Come accade a questa donna, come accade ai discepoli che incontrano il Signore nelle forme più impensate a prima vista, come sappiamo da tutti questi racconti sul Risorto, loro non lo riconoscono.
Così anche noi: si cammina, si passano anni nella parrocchia, ma non si saprebbe dire nulla di lui. Nulla di nostro – si intende, non le formule del catechismo. Lo si scambia per il giardiniere o per qualcuno che non conosciamo, o per qualcuno il cui sguardo non ci sembra quello che cerchiamo.

Eppure, capita a tutti, anche se dura un istante, che viviamo momenti di speranza concreta, come un soprassalto di nostalgia che ci fa dire che questo legame infranto era bello quando c’era ancora, che questa speranza delusa sarebbe stato bello se ci fosse stata ancora.
Bisogna che facciamo spazio dentro di noi a questa speranza che ha una segreta corrispondenza dentro di noi (non nasce del nulla) e che è – in fondo – la speranza che la morte non sia l’ultima parola.

Ogni volta che incrociamo un amico, o il nostro sguardo incrocia soltanto uno che ci serve per qualche cosa, per qualche favore, oppure c’è sempre dentro di noi questo soprassalto: la consapevolezza della nostra singolare condizione umana e la voglia che il nostro desiderio di vita eterna con lui non sia una illusione.

Il Signore si mostra nel punto di questo soprassalto di verità. Nel punto in cui si rimane in sospeso tra la delusione e la speranza che quanto desideriamo profondamente sia vero.
E non si vedono forse in questo modo tutte le cose più importanti e più vere della vita? Chi può vedere ad occhio nudo quanto è amato? Eppure lo sa. Lo si sa, senza poterne dare nessuna prova, ma sempre nella speranze e quindi con trepidazione di non trovare più domani lo stesso sguardo che ci ha lungamente amati.

Ecco perché afferrata questa certezza, come per Maria in questo Vangelo, essa al tempo stesso non si può trattenere. Il Signore non si ferma a lungo. Non ci possiamo fermate troppo a contemplare questo mistero, a farci infinite domande (sarà vero? avrò visto bene? sarò stato un po’ credulone?). Se lo riconosciamo davvero, sappiamo che la vita può cambiare, che i giorni non sono davvero tutti uguali e potremo sempre fare affidamento su quanto abbiamo sperimentato dentro di noi. Se il nostro sguardo invece vuole indagare sperando di poterlo afferrare per sé, rimarrà sempre deluso e forse anche un po’ annoiato.