Domenica dell’Incarnazione

Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a

Maria è la seconda figura che ci viene proposta, insieme al Battista, nell’avvento ambrosiano. L’avevamo già incontrata nella festa dell’Immacolata Concezione.
La questione che ponevo era questa: noi non festeggeremmo il Natale senza la decisione libera di una donna. Così, senza la nostra libertà, il nostro libero deciderci e acconsentire, non esiste nessuna verità che si manifesti a noi.
E’ inutile venire a Messa senza la libertà che decide di acconsentire ad un incontro con il Signore…
E’ inutile fingere di essere amici e continuare a vedersi nella routine, senza la decisione e la libertà di acconsentire a lasciarsi conoscere sempre più da quelle persone….
Come mi diceva un amico: “non sono gli altri che ci autorizzano a vivere, ma siamo noi che dobbiamo trovare le ragione quotidiane del vivere”. Io dico agli studenti: non ti devi aspettare che siano le materie a suscitare il tuo interesse, permettendoti in qualche modo di rimanere sempre “passivo”, sempre “alla porta” o “sulla soglia” — come nel racconto Il Ritorno di F. Kafka– ma sei tu che devi deciderti a favore di qualcosa.

Questa considerazione ha una conseguenza evidente nel testo di Luca come anche nella prima lettura: prendere in mano la vita e decidersi porta con sé un dramma, un rischio e una sofferenza. Restare sulla soglia della vita, lasciando che siano le circostanze a scegliere per noi, ha un grande vantaggio: sembra che si soffra meno, che si rischi meno o che ci si faccia meno del male. Per questo motivo io dico: la fede cristiana non è fatta per persone pavide, tiepide o che si possono fermare all’indecisione perenne.

Penso che Maria abbia saputo molto bene cosa significava questo aspetto drammatico della decisione della sua fede: immaginate cosa possa significare avere un figlio che molti dicono “pazzo”, che si allontana presto di casa e che poi finisce così… Già si intravede in questo testo, in particolare nell’obiezione di questa donna, tutto il timore che la scelta della libertà porta con sé, pure nel rischio di sbagliarsi.
Allo stesso modo la prima lettura di Isaia descrive la figura di un salvatore, di un Messia. Come sarà questo uomo che viene? Bianco, sereno e dalle vesti sfolgoranti? Non sappiamo, certo sappiamo che avrà il vestito intriso di rosso sangue, come il vestito di chi pigia l’uva — sarebbe bello cogliere l’assonanza ebraica tra “rosso” (adom) e “nemici” (edom), tra “vendemmiare” (basra) e il “campo di battaglia” (bosra) — il sangue è come vino rosso, e la battaglia è come un pigiare nel tino. E inoltre questo uomo sarà lasciato solo sul campo di battaglia, dice Isaia.

Ogni volta che ci decidiamo, riaccade un dramma. Non è vera quella frase che dice che siamo liberi fino a quando non facciamo del male a qualcuno. E’ vero invece che sempre facciamo del male o del bene a qualcuno quando siamo liberi. Sempre siamo su questo “campo di battaglia”. Io ricordo il dramma di una ex tossica dipendente che raccontava il momento in cui si è accorta del male che aveva fatto a sua madre in quegli 8 anni di tossicodipendenza fuori da casa: lei pensava di uccidere solo sé stessa e invece poi si è accorta di cosa aveva fatto agli altri.
Ecco perché è così difficile decidersi. Scrive Dostoevskij nel racconto L’affittacamere: “dà la libertà all’uomo debole ed egli stesso si legherà a te e te la riporterà, come un cane porta il bastone al suo padrone”.

Siamo davvero vicini al Natale e dovremmo dire: come è stonata e sciocca quell’immagine sdolcinata e buonista di serenità e pace a basso prezzo. E’ certamente fatta per quegli uomini, direbbe Dostoevskij, che non vogliono essere liberi, ma preferiscono rimanere schiavi dei loro consumi e delle loro tradizioni rassicuranti.
Il Signore Gesù viene nel Natale, ma, ci ricorda oggi Isaia, arriva anche con la forza che ci manca, con l’energia e il coraggio che non abbiamo, con quei gesti forti che vedremo nei suoi tre anni intensi di ministero, fino alla morte.
E’ un coraggio che ci farebbe davvero bene.