Domenica dell’incarnazione

Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a

C’è un versetto sul quale vorrei fermarmi: “la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra“. E’ la risposta dell’angelo all’obiezione di Maria. L’angelo risponde e non risponde, in qualche modo allude. E allude facendo riferimento all’immagine dell’ombra che mi sembra particolarmente interessante. L’ombra non è una conoscenza chiara e distinta, non è qualcosa in piena luce o qualcosa totalmente evidente. Eppure, l’ombra non è neanche la totale assenza di luce, non è neanche la non conoscenza cieca. Nell’ombra intravedi.

Mi sembra prezioso recuperare questo perché il tempo di oggi vuole far credere che esista solo una conoscenza vera: quella chiara e distinta, quella in piena luce. Come se per ogni questione della vita si potesse attingere a un sapienza chiara e distinta, come se esistessero solo questioni tecniche, miglioramenti pratici. E di contro, laddove invece si intuisce che non abbiamo nulla di chiaro e distinto, che non possiamo “sapere con certezza” si invoca la “fede” ma proprio come forma di non conoscenza. Si dice: “se non sai devi credere”. Ma presuppone che si possa sapere solo ciò che è evidente o dimostrabile, esclude invece che l’uomo sappia intravvedere nell’ombra.

La fede cristiana resiste a questa netta divisione tra le cose “chiare e distinte” e le cose solo “sperate”. Esiste un “sapere” intermedio e non è un sapere minore o più basso. Ad esempio: un madre “sa” del figlio anche se non conosce tutto di lui. Un uomo che si sta per sposare non avrà mai accesso a un sapere chiaro e sicuro eppure a un certo punto “sa” che è la sua donna. Possiamo stare davanti al Signore senza avere la certezza sicura e chiara che ci ascolti davvero, eppure chi lo ha fatto seriamente “sa” di lui, “sa” che c’è. Puoi “sapere” infallibilmente di lui anche senza averlo visto in piena luce. E non è un cieco sperare.

Detto in altri termini: c’è un “sapere” che non è un “conoscere” o un “comprendere” chiaro e distinto della nostra testa, eppure non è meno importante. E noi stessi lo intuiamo: si può conoscere tutta la storia a memoria (conoscere tutte le date e i fatti), ma non “sapere” nulla di ciò che è accaduto. Si può conoscere tutto della persona alla quale vogliamo bene ma non “sapere nulla di lui”. Il sapere ha a che fare con un “sapore” quello che le cose stesse hanno. Il conoscere ha invece a che fare con un “afferrare”, con una conquista. Ma non tutto si può conquistare, neanche con la testa.

Il “sapere di Dio” non si può che riconoscere, riceve, accettare… a volte “come nell’ombra”, come per Maria, senza poter afferrare tutto. Ma mettendo fine al sospetto che sia solo “tenebra”. Non è meno prezioso o meno sicuro di tutto ciò che invece pensiamo di aver conquistato da noi, con il nostro fare o con il nostro ricercare.