Domenica delle palme

Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11

Il gesto che sta al centro di questa pagina è inaspettato e inopportuno. Vorrei immaginare quale determinazione e quale affetto servirebbero per compiere davvero un gesto del genere, per chinarsi davanti a tutti e ungere i piedi di un uomo. Noi saremmo bloccati dal pudore o dall’imbarazzo. Tra adulti fatichiamo a mostrare gesti di affetto ben più semplici e banali di questo…

Ma al di là della fisicità e dell’imbarazzo, ciò che rende questo gesto degno di essere ricordato sta per me nella logica che lo ha generato: è un gesto che supera “quello che si doveva fare”: la logica di qualcosa di dovuto, del calcolo del costo o del soldo speso bene… In altre parole, contiene un eccesso e una gratuità che non possono essere contenuti in regole morali o norme di comportamento, neanche religiose. E’ la logica di una gratuità che non calcola e non segue diritto e doveri…

Tutto ciò non è semplicemente un’opera buona, ma ciò che rende un uomo un vero uomo. La logica del calcolo è indispensabile alla nostra vita, ci permette di pagare le bollette, di avere delle leggi, di regolare la società ecc. Ma questa logica, questo insieme di diritti e doveri, questo baratto calcolato, non è per me sufficiente a vivere una vita bella e a rendere l’esistenza qualcosa che meriti di essere vissuta. L’uomo non si accontenta dalla logica di Giuda (quella del calcolo) ma ha bisogno quella di Maria (quella più irrazionale dell’inaspettato e del gratuito).

Tante volte nel Vangelo era emersa questa logica nuova: “non amate solo gli amici…”, “non fate del bene solo a quelli dai quali sperate ricevere…” ecc. Spesso il Regno di Dio si era identificato come il luogo di una comunità, di piccoli gruppi (non della società intera o del mondo) dove si vivesse questa diversa logica, dove poteva accadere qualcosa di sovrabbondante e non calcolabile, come il lievito che ingrandisce la pasta o il semino che diventa un albero. La comunità come un luogo di relazioni diverse dal solito: dove ci si poteva perdonare infinite volte, dove si mettevano i beni in comune, dove non si aveva da temere l’altro, dove non c’erano regole scritte o diritti e doveri… e questo Gesù lo chiama Regno.

Già nei rapporti affettivi è evidente il ruolo di questa differente logica. Dove muoiono anche oggi le relazioni? Dove non hai più nulla da aspettarti, nulla ti stupisce e pensi ormai di sapere tutto su quello che accadrà o sull’altro e su ciò che è giusto e sbagliato… Il medico Jérôme Lejeune, scopritore della sindrome Down, ammoniva la società civile dicendo che nel momento in cui si sarebbe messa a calcolare le nascite secondo una logica della convenienza, senza mettere da parte risorse per dare vita e speranza anche per esempio a un bambino autistico o Down, allora era il momento che quella società non sarebbe più stata una società pienamente umana. L’umanità stessa della società dipendeva dal saper riconoscere questo sovrappiù del quale l’uomo è capace di farsi carico, oltre ogni calcolo utilitaristico.

Ma il Vangelo fa un passo oltre. Il gesto di Maria, per avere il suo senso pieno e non risultare un vano masochismo o un inutile spreco di soldi, deve essere riferito alla morte e resurrezione di Cristo (“lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura”). La filantropia, l’altruismo, il buonismo, l’irrazionalità, il dono… sono tutte belle parole ma restano tali e non avranno mai, nella vita di un uomo, un significato pieno, un senso vero, un riscatto reale, se non sono il modo –pure a volte inconsapevole– di imitare proprio Cristo e da Lui traggono il loro riscatto. E’ la morte e resurrezione di Cristo a rendere il gesto di questa donna vero e non è il gesto in sé a giustificare lo spreco. Questo perché è soltanto nella sequela di qualcuno e non da sé stessi che si può dare senso alla vita.

Alla vecchietta ugandese che aveva iniziato a raccogliere i bambini scampati al massacro di una tribù africana nemica, i suoi connazionali chiedevano: “Perché lo fai?” E la vecchietta rispondeva: “perché Gesù Cristo ci ha detto di amare anche i nemici”. Non rispondeva: “perché sono buona” o “perché sono brava”, ma riconosceva il nome e la storia che dava fondamento al valore del suo agire e della sua vita.
Questo è quello che ci aspetta durante la settimana santa che si apre.