Assunzione della B.V. Maria

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È passato molto tempo da quando nel 1950 Pio XII proclamò come dogma e festa l’antichissima tradizione -sia occidentale che orientale (“assunzione” o “dormitio”)- della resurrezione del corpo e dello spirito di Maria. Penso ci faccia bene richiamare quei tempi e capire perché un’antica tradizione a un certo punto divenne una festa. Gli anni cinquanta sono anni che ricordiamo legati al grande miracolo economico italiano, al boom delle nascite, dei consumi, della produttività ecc. Tuttavia, si aveva alle spalle una pesantissima guerra, la scoperta di milioni di morti, la rivelazione delle atrocità commesse, dei lager e di una bomba atomica. Noi diremmo che il brutto era alle spalle, ma non lo abbiamo vissuto: era un dramma dal quale si doveva uscire. Un dramma che gli psicologi forse oggi chiamerebbero come un grande “shock” sociale.

Certamente anche per ciò che si aveva vissuto, per il dramma della guerra, credo che Pio XII istituì questa festa. Nel fondo, il messaggio di questa festa parla agli uomini e alle donne di allora come di sempre: i giusti risorgeranno sia nell’anima che nel corpo e Maria ci ha anticipato insieme a Gesù. Significa porter dire a quella mamma che aveva perso i figli in Russia o a quel marito che aveva visto morire la propria moglie: non è l’ultima parola. L’amore fisico, carnale… che avete avuto per quelle persone non è perduto, ma trasfigurato dalle sofferenze che avete patito e lo ritroverete risorto. Come in fondo non sappiamo: lo chiamiamo solo “glorioso” ma non sappiamo di più. Ma Maria che tante volte era apparsa in Europa con il suo corpo, già vive così. Torneremo a riabbracciarci e a riabbracciare le persone che amiamo. Questo è il punto.

Solo così si capisce perché istituire una festa nuova. Istituire una festa in una società, convincere milioni di persone a fermarsi un giorno dal lavoro e a ricordare un evento… è una cosa enorme, serve una coesione sociale, un dramma da superare, un evento davvero creduto. Maria era davvero nel cuore dell’Europa nella sua voglia di riscatto e nel suo segno di speranza.

Oggi i tempi sono molto lontani, quasi all’opposto. Non siamo più all’inizio di un boom economico, né facciamo figli come allora. Non abbiamo vissuto sulla pelle alcuna guerra, né alcun imponente dramma catastrofico, veniamo da un passato prosperoso e ricco che ci ha lasciati viziati, ma se guardiamo il futuro non abbiamo affatto speranza. Se pensiamo a qualcosa non vogliamo certo feste ma solo ferie. Non siamo disposti a ritrovarci assieme a celebrare, ma preferiamo andare in vacanza (spesso ognuno per sé) e sfuggire la routine e il lavoro. Sentiamo di avere poco da festeggiare e men che meno assieme.

Eppure, forse proprio per questo, penso che questa festa nel bel mezzo dell’estate sia una provocazione da raccogliere. Non abbiamo una guerra alle spalle, ma ugualmente vediamo le cose morire: talvolta i sogni, le relazioni o i nostri cari. I drammi li viviamo ugualmente anche se non sono i lager nazisti. E se oggi siamo bisognosi di qualcosa, è certamente di una speranza per il futuro. Anche solo il tempo ci pare portarci via tutto. Già mentre cerchiamo di fissare con la nostra macchina fotografica le bellezze delle vacanze, come potessimo fermarle per sempre, ecco che sono già alle nostre spalle.
Per i nostri nonni, come per noi, ci resta questa domanda: cosa rimane? cosa risorge davvero? su cosa nella vita posso fondare una certezza per non far prevalere il pessimismo o il cinismo?
Non penso che una risposta a queste domande ce la si possa dare da soli e forse anche per questo la Chiesa ci invita ancora a celebra assieme questa festa.