Ascensione del Signore

At 1,6-13a; Sal 46, Ef 4,7-13; Lc 24,36b-53

Due pensieri.

Per prima cosa vorrei mettere in evidenza la scena descritta dal libro degli Atti.
I discepoli chiedono: “Signore, è arrivato adesso il momento in cui la storia si chiude e viene il Regno di Dio?”.
Non è una domanda diversa da quella che anche noi ci facciamo quando nutriamo la percezione di un cammino che sembra non si concluda mai. Ci sono momenti nella vita nei quali la percezione di una “reale vicinanza” di Dio sembra sempre lontana. E’ come se noi ci dicessimo: ecco, quando avremo letto tutta la Bibbia, quando davvero ci saremo decisi, quando non saremo pigri come oggi… C’è sempre un domani che nasconde il fatto che io oggi non mi senti così vicino a Dio. E’ come se provassimo uno smarrimento (una cattiva coscienza) dovuto al fatto che sembra ci sia sempre qualche difficoltà che prima andrebbe risolta, qualche passo ulteriore prima di poter gustare semplicemente di una Presenza, dell’affetto e della vicinanza di Dio.
La nostra domanda e la domanda dei discepoli è: quando giunge finalmente il tempo per cui non serve più nulla? E’ questo –dopo tutte le difficoltà– il tempo nel quale arriva il Regno? — chiedono gli apostoli.

Perché questo accade? Perché col passare degli anni si è arrivati anche a un senso di inconcludenza, di aver fatto tutto e di non essere arrivati dove ci sembrava. Questo ci disorienta. Come pensi a Dio, così pensi alla fatica, al dolore, ai tuoi amici… E viceversa.

Cosa risponde Gesù? Gesù risponde: “c’è ancora tempo”. E allora — si capisce che i discepoli non hanno il coraggio di dirglielo — essi se ne vanno un po’ scontenti pensando: “sembrava la volta buona, ma non è neanche questa. Bisogna stare in città ed aspettare ancora”.
Bisogna stare in città ed aspettare ancora!! Ma il Signore che li conosce risponde: “aspettare fino a quando non arriva la forza dello Spirito”.
Non li manda allo sbaraglio, sa che per loro –come per noi– sarà duro non vederne la fine, non intravedere la meta. Sa che hanno bisogno di una forza per questo. Lui se ne va, ma dice: “fidatevi e state pure ad aspettare fino a quando non arriva la forza”. Non prima.

Ecco la scena che ci ricorda che Gesù non manda mai allo sbaraglio i suoi e non gli dice di obbedire solo perché sono discepoli. Lui stesso sa cosa significa sopportare quella domanda che abbiamo noi stessi di non vedere una meta. Tre anni insieme pieni di cose bellissime ma anche duri come il legno di una croce dove si rimane inchiodati. Il Messia deve passare da quel legno duro della vita perché solo il seme gettato così non si sradica più e mette radici nella durezza della nostra esistenza.

In nostri ragazzi –forse proprio perché trafitti anche loro da una vita più “dura” di quello che ci appare– al contrario, sembrano non essere più sicuri di nulla. Vorrebbero pensare a una vita normale senza intensità di affetti che portino il peso della lite e della lotta. Sospettano dell’autenticità di tutti i loro rapporti. Si rassegnano a considerare “grandi” le loro storie di amicizia e si limitano a godere del “divertimento” che non dura una sera intera.

L’ascensione ci ricorda invece che –nonostante non sia ancora l’ora e spesso attendiamo in casa– la durezza delle relazioni “mondane” di Dio non è destinata al nulla. E questo è la conferma di quel desiderio che si accende ogni volta che si instaura un legame.
Se penso a una fatina magica che mi dice: “ti porto oggi in un posto bellissimo, dove vuoi tu”, io direi il “paradiso” che ho in mente, ma poi dovrei aggiungere: “scusi fatina, ma potrebbe venire anche…” e poi anche “…”. Perché altrimenti –io so bene– il mio paradiso sarebbe solamente un inferno.
Ci sono legami che contengono la promessa di non finire in nulla, ma di essere radicati in Dio –altrimenti, qualsiasi posto sarebbe per me un inferno.

La forza dello Spirito ci ricorda che si può vivere questo tempo dell’attesa in modo diverso dagli altri. Con la forza di chi smette di preoccuparsi di sé o della propria realizzazione (di essere finalmente arrivato), perché sa che ha ancora qualcosa di buono e di vitale da lasciare in dono a questo mondo. E che questo gesto non è mai perduto, fosse anche da ripetere cento volte nella vita, fossimo ancora chiusi in casa ad aspettare di essere liberati dalla paura.