Anno C – XIII domencia dopo Pentecoste

Ne 1,1-4; 2,18a Sal 84(83),2-8 Rm 15,25-33 Mt 21,10-16

Mi perdonerete se – come sempre – non ripercorro tutto il vangelo, anche molto noto, o tutte le letture che abbiamo ascoltato ma provo a dare risonanza a uno dei tanti temi e provocazioni che questa parola ci offre. Sperando sempre siano pungenti e fastidiosi come i sassi nelle scarpe mentre camminiamo. Perché il Vangelo è così: è sempre lettera di provocazioni al nostro modi abituale e scontato di pensare la fede e la vita. Del resto accade così: la gente è presa da agitazione all’arrivo di Gesù a Gerusalemme.

Penso che i gesti e le parole di Gesù in questo Vangelo ci dicano qualcosa sul modo che abbiamo di pensare all’abitare di Dio.

Abitare è una esperienza umana fondamentale.
Avere una casa, appartenere a una città, essere di una Chiesa, sono tutte forme dell’abitare. Abitare è il sibolo di un legame vitale.
Chi abbandona la casa o la famiglia per vivere sulla strada, sa bene quanto si indebolisca proprio il legame vitale, quanto spesso ricerchi la morte.
Abitare è condividere – nel bene e nel male – una forma di appartenenza senza la quale non possiamo realizzare nessuna forma di vita umana.
Anche uno che se ne va a vivere da solo deve avere interiorizzato e assimilato bene l’abitare, dentro di noi. Un bambino da solo muore. L’essere umano diventa umano e grande solo se interiorizza queste parti dell’umano che solo l’abitare comunica.
Se passano le vancanze insieme con i ragazzi, abitando in una casa in montagna, è proprio per questo.

Bene, penso che questo Vangelo abbia qualcosa da dire sull’abitare della Chiesa. Scacciare i mercanti e guarire i ciechi è molto di più che prendersela con la speculazione o fare delle azioni di bene. I cambiamonete e i venditori di colombe non erano tutta cattiva gente. Facevano il loro servizio al tempio.

Ma scacciare loro è invece affermare qualcosa di molto più grandioso: Dio abita ogni luogo che l’uomo può abitare. Questa è la pretesa di Dio. Se iniziate a pensare che Dio abiti luoghi diversi, separati, fossero anche le Chiese, ecco che qualcuno vi ci speculerà anche sopra. La Chiesa non deve neanche pensare di poter abitare luoghi separati dagli uomini. Trent’anni a Natzarete, e Dio è contento di abitare lì.
Se ci sono posti dove abitano gli essere umani, lì è contento di abitare Dio.

E notate la finezza: luoghi di peccatori, di gente che non ha ville e palazzi. Anche lì Dio è contento di abitare. Fosse anche una catapecchia. Fosse anche gente che non ha nulla, Dio è contento ugualmente di abitare lì.
Già, perché noi pensiamo che guarire ciechi e storpi significhi un’opera di medicina. Ma era questo: era pretendere che Dio abitasse anche tra gente che non solo era sfortunata ma considerata peccatore.

Io dico che la più bella testimonianza che noi possiamo dare ai nostri fratelli, non è annunciare ai quattro venti il Signore, ma avere l’umiltà di dire che ero peggio di un mercante imbroglione, che non avevo nessuna carta in regola, eppure persino a casa mia Dio ha trovato posto. Questa è la testimonianza più forte. Persino da me, che guarda ne avrei da raccontare sul mio conto… però so che Dio è contento di stare.

E invece, ogni volta che la Chiesa si separa dalla vita degli uomini, diventa realmente una spelonca di ladri, che speculano – io dico – sulla paura della gente e sulla paura di Dio. O sulle abitudini e sulle tradizioni vuote e supestizioso. E allora la Chiesa muore e il Signore si stanca di abitare. Non è vero che Dio è lontanto nei nostri luoghi, come il nostro pensiero ogni tanto sembra dire. E’ che noi ci siamo fatti un orticello e un giradino separato dalla vita e dagli altri, e allora il Signore si è stancato e – sembra dirci – ha preferito i bambini di periferia.

Non dobbiamo fare i difficili. Non dobbiamo essere nostalgici di un mondo dove la chiesa era uguale alla socità e tutti venivano a messa.
Guardiamo Paolo: pochi discepoli e piccole comunità abitano luoghi immensi e vastissimi, tutte intente in altre religioni e altre cose… eppure parla come se ci fosse una vasta rete, come se tutti fossere cristiani. Laciamoci incuriosire dall’abitare di Gesù Trentanni a Nazaet in un posto da nulla.
Impareremmo anche noi che abbiamo sempre da dire sulla crisi e da lamentarci sulla crisi della presenza cristiana e sui nostri figli.