Anno C – II domenica dopo l’Epifania

Est 5,1-1c.2-5 Sal 44(45) Ef 1,3-14 Gv 2,1-11

C’è un modo particolare che Gesù usa per distinguere il bene dal male, il grano dalla pula. Un modo infallibile per mettere in luce le cattive idee che noi, come i farisei del suo tempo, abbiamo su Dio, su Gesù, sugli altri…
Questo modo è l’uso fulminante dell’ironia. E’ stato uno stile fondamentale di Gesù che ci ha risparmiato lunghi trattati teologici e ha saputo dire tutto con due battute. Uno stile effettivamente troppo dimenticato nella Chiesa ma che invece ci deve far dire che “fuori da questa ironia non c’è salvezza”. Fuori dall’ironia evangelica il mondo sarà anche “canonicamente” salvato ma ritorna a essere triste, grigio e inospitale…
L’ironia evangelica che dà salvezza, e che accompagna l’annuncio del Regno, è infallibile nel far venire alla luce la vera natura del dissenso. Perché gli smidollati o i farisei di sempre resistono a tutto, anche alla minaccia del castigo eterno, ma non sopportano quell’ironia. Possono resistere a lungo con il muso duro nelle loro idee su quello che è importante e non, sulla coerenza dell’uomo, sulla loro morale, ma si scompongono infallibilmente di fronte all’accenno dei loro stessi limiti o al non interesse di Dio. Appaiono irrimediabilmente sconfitti quando sulla scena, invece del loro calcolo compare – quasi non c’entrasse – una cosa diversa. L’ironia che trasforma tutto e fa apparire scende inedite.
Come qui in questo Vangelo dove Gesù fa la sua prima uscita, il primo segno dell’arrivo di Dio, e al di là di ogni aspettativa c’è un banchetto di matrimonio. E non c’è una parola di Gesù su Dio e non si sa neanche bene perché è lì.
E c’è un miracolo ma l’autore del miracolo passa sconosciuto e alla fine viene elogiato uno sposo che non aveva fatto nulla. Eppure – si dice – questo è proprio il “prototipo dei segni” che manifesta la gloria di Gesù.
E all’inizio, dopo l’osservazione di Maria, sembra che Gesù rimproveri… perché? Eppure dopo quel rimprovero che sembra allontanare l’osservazione di Maria, subito trasforma 600 litri di acqua in vino. Non hanno più vino e subito dopo ne hanno circa 600 litri e dei migliori.
E del banchetto non si descrive nulla, del matrimonio, di quello che avrebbe detto Gesù agli sposi… ma del gesto di riempirle d’acqua e delle giare si dice tutto e due volte: giare di pietra sei, che servivano…
Tutto è ironico perché tutto viene stravolto a suo modo. E ci sono solo piccoli i particolari che interessano a Gesù perché tutto il resto perde peso, sotto quesa ironia.
Gesù agisce con questa ironia, con questo stile. E tutto quello che non è essenziale viene meno e quello che serve diventa abbondante per tutti, infinito.

E così anche questo racconto di Ester.
Perché questa ironia non è una invenzione di Gesù. C’è dalla prima pagina della Bibbia, quando Dio fa i vestiti per Adamo ed Eva, piuttosto che punirli come sembrava…
E il libro di Ester è tutto un libro sull’ironia di Dio, tanto che si conclude con la creazione della festa del carnevale, perché appunto nel carnevale “per ironia” gli uomini si travestono cambiando le loro sorti, per un giorno un nobile può diventare un barbone, un vescovo un giardiniere.
E il libro inizia descrivendo una corte mitica in un tempo lontano (il c’era una volta delle fiabe) dove viveva un re ricchissimo e potentissimo (Assuero) talmente potente che neanche sua moglie sembra obbedirgli. E questo il cattivo di questa storia Aman sembra avere la meglio e fa tutti i suoi preparativi per uccidere gli Ebrei, alla fine viene lui stesso ucciso al palo che aveva preparato per i suoi nemici.

Ironia della sorte -diremmo- quando non ne capiamo la logica, “ironia di Dio” quando vediamo che salva il suo popolo o il banchetto di due sposi.
Impariamo da Gesù questa ironia evangelica! Farebbe bene alla vita, e tutti i nostri mali e le nostre piccole lamentele perderebbero subito tutto il loro peso. E avremmo molto più tempo per quello che conta realmente, anche il tempo di frequentare un pranzo di matrimonio.
Sarebbe forse anche per noi l’inizio dei segni di Gesù e, come per i discepoli, impareremmo a credergli.