Anno C – III domenica dopo il Martirio del precursore

Is 43,24c-44,3 Sal 32 (33) Eb 11,39-12,4 Gv 5,25-36

“Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.” Vorrei fermarmi un momento sul significato di questa affermazione di Gesù.
Mi chiedo come mai questa affermazione sia stata tanto importante nella vita di Gesù. Perché il Signore insiste spesso nel dire che altri (o un altro, o il Padre) gli danno testimonianza? Perché dice che serve che ci sia un altro?
Bisogna che noi comprendiamo che i gesti di Gesù rimandano a un altro. Non sono gesti che si comprendono da soli, sono gesti legati a quelli di altri uomini che lo hanno atteso. Non sono parole che si capiscono da sole, ma sono parole che ce ne ricordano altre nella storia.
Così accade per ognuno di noi: ogni ragazzo porta i tratti dei loro genitori, e nessuno conosce un uomo senza conoscerne tutta la sua storia. Qualcuno ha detto che “nessuno è un’isola”. La nostra storia – se siamo realisti– ci dà testimonianza nel senso che dice chi siamo. Anche se noi siamo di più di tutto ciò che dice di noi la nostra storia. Noi siamo di più dei nostri testimoni, dei nostri genitori o dei nostri maestri.
Questo anzitutto penso significhi “io non sono testimone di me stesso”. Significa che Gesù non si capisce da solo (come ciascuno di noi). Penso sia inutile continuare a parlare solo di Gesù. Se pretendiamo di credergli senza guardarci attorno e guardargli attorno.
Noi abbiamo la sensazione che è cristiano tutto ciò che contiene il nome Gesù: le preghiere, quando leggiamo il vangelo, quando veniamo a messa… questo sembra tutto ciò che parla di Gesù. E invece quando ci concentriamo solo su questo, solo su di lui, perdiamo il Signore stesso.
Serve che ci guardiamo attorno per capire ogni cosa che di Gesù è realmente testimone. Ho l’impressione che solo così lui non scompare in un punto senza spessore, ma intuiamo chi era e chi è realmente. Questo significa che a Gesù danno testimonianza in tanti, senza quali nulla si sa di questo nome.
E allora si può parlare di Poesia, di Arte, di Musica, della vita quotidiana, di uomini atei… e scoprire che – spesso segretamente – tutti questi mostrano chi è Gesù, gli danno davvero testimonianza.
Già questo potrebbe farci riflettere: Gesù pur essendo il figlio di Dio, ha detto che si è così legato agli uomini, ai dodici, ai profeti, alla storia di Israele, e poi ad ogni suo amico, che non si saprà mai chi è lui veramente se non si conoscono anche tutti questi… Sarebbe come pretendere di capire chi è don Giacomo, senza conoscere gli amici di Giacomo, le sue passioni, la sua storia… lo stesso accade per Gesù.
Allora già potremmo chiarirci su una cosa: i testimoni di Gesù non sono menzionati come la prova matematica che Gesù è il Figlio di Dio, ma come l’unica condizione per conoscerlo.
Mi diceva un ragazzo: “come faccio a credere che quello che dici è giusto, che Gesù è realmente Signore?”
Qualcuno potrebbe avere la tentazione di rispondere: “vedi quante persone intelligenti e quanti bravi ragazzi credono il lui…” “vedi che da millenni si crede in Gesù ed esiste la Chiesa”…. Ma questa non sarebbe una grande risposta.
Perché l’unico modo per credere nel Signore è che lui stesso ci convinca.
Se non è lui stesso a convincerci, prima o poi la fede scompare e si scopre che si andava a messa e si dicevano le preghiere soltanto perché qualcun altro ci ha condizionato, o ci ha obbligato, o ci ha abituato… ma noi non gli abbiamo mai creduto.
Chi può innamorarsi di una ragazza perché glielo dice il fratello o perché gli amici lo convincono che è realmente la donna giusta? Nessuno, fino a che non è proprio lei a convincerci non c’è nulla da fare.
E tuttavia nessuno può conoscere un’altra persona (e neanche la propria ragazza) se non ne conosce tutti i sui testimoni: gli amici, i genitori, gli interessi… e continuamente imparerà cose nuove… e forse così imparerà anche a credere.