Anno C – III domenica di Pasqua

Atti 28,16-28 Sal 96 (97) Rom 1,1-16b Gv 8,12-19

C’è un tema che mi sembra attraversi – in modi diversi – queste letture. E’ l’esperienza di una certa estraneità di Gesù e quindi di una impossibilità a vederlo e a comprenderlo.
La prima lettura lo dice quando descrive questi Giudei di Roma che si allontanano da Paolo non certo tutti convertiti, ma litigando tra loro. E Paolo commenta citando questa bellissima pagina di Isaia che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete / garderete, sì, ma non vedrete”.
E così sembra accadere anche nel Vangelo: gli interlocutori di Gesù sembrano non conoscere il Signore. E questo dovrebbe già farci da monito ogni volta che ci viene da pensare che, se in fondo fossimo stati lì, contemporanei del Signore Gesù, a vedere i suoi miracoli, allora sì che avremmo fatto meno fatica a riconoscerlo.
E invece il vangelo ci ricorda che non è così e che non è mai stato così. Ora come allora (come ai tempi di Paolo) molti guardano ma non vedo, ascoltano ma non capiscono. Perché il Signore sembra destinato a rimanere estraneo.
Vorrei che approfondissimo questa domanda della estraneità del Signore. Proprio noi che siamo qui a messa tutte le domeniche, magari da una vita, non siamo esonerati dal fare come questi farisei che sono sempre presenti ma – in fondo – non conoscono il Signore.
Vorrei che ci domandassimo: dove colloco Gesù per poterlo ascoltare realmente? La cultura nella quale siamo cresciuti ci ha insegnato a collocare Gesù nello spazio della religione. E nessuno si permette di contestare la religione. La religione è tutelata da tutti. Ma basta che Gesù resti nella religione.
Tuttavia, lo spazio della religione non è abbastanza grande per Gesù: per questo i Giudei se ne vanno via litigando da Paolo e per questo non capiscono i farisei. A Gesù va stretto il luogo della religione. Se si resta soltanto nella religione, dice Gesù, non si conosce né Gesù né il Padre.
Del resto, nella religione, tutto è possibile, tutto è tutelato… puoi adorare cose assurde, “se ci credi” – si dice, nessuno ti dirà nulla. Ma quando si entra nella vita – bisogna avere dei buoni motivi, presentare dei testimoni (non dicono forse così i Giudei?).
Ed ecco che quando Gesù entra nella vita viene percepito come estraneo. Penso che in tre cose Gesù sia percepito particolarente come estraneo:

1) Sono cose belle quelle di Gesù, ma “don, sono cose vecchie” e sono “sempre le stesse”. Mi disse una volta un ragazzo: “don, non aveva neanche la luce Gesù, come puoi pretendere che abbia qualcosa da dire sui nostri tempi, e su di me”. La cose della nonna. La percezione di una distanza cronologica e di una usura.
2) La percezione di una impossibilità. Sono tutte cose vere che dite su Gesù ma sono legate a un mondo impossibile: resurrezione, guarigione, pace… E se tolgo le cose impossibili dalle cose di Gesù mi rimangono cose della “sana ragione” (fare bene agli altri…) che posso capire anche senza Gesù, ma ben poco. Si devono mettere in gioco cose impossibili e come tali irrilevanti.
3) Un amore totalitario e possisivo. Gesù mi chiede troppo, perché mi da troppo. Non bastava qualche cosina? Sarebbe stato un amore più libero e meno appressivo.

Gesù è percepito distante perché urta queste tre sensibilità moderne, che – però, osseriviamo, – corrispondono a tre sensibilità originarie, a tre miti, che sono: il mito del progresso (dunque Gesù è vecchio), il mito del lavoro (sono cose impossibili, invece si tratta solo di lavorare) e il mito dell’amore libero.
E allora qualcuno ha osservato, però questi tre miti che vengono infranti da Gesù e ce lo fanno percepire distante, non sono sempre positivi, possono anche trasformari in ingubi e segni negativi del futuro. (1) Il progresso può produrre mostri, una clonazione incontrollata, (2) il lavoro diventa una cosa per cui l’uomo sembra solo lavorare e ci vergogneremo se potremo passeggiare liberi (e ci si riposa non perché è bello ma perché poi così si lavora meglio). (3) L’amore libero crea legami fragili, matrimoni che durano poco con tutto quello che viene.

Allora Gesù – sarebbe interessante domandarci cosa ne pensiamo – tutelerebbe queste derive, perché non degenerino nell’uomo.
E in questo modo Gesù oggi è sostenuto – nella vita e non solo nella religione – perché difende questi valori moderni dai disastri del progresso incontrollato… ecc. Es. “don lo dica lei di tornare presto a casa alla sera e di non bere perché… si chiede l’autoreità di Gesù, perché i nuovi valori cedono”.
Ma io dico: anche questo posto – come per la religione – a Gesù strà stretto. Non posso mettere Gesù a sostegno dei valori per tutelarmi del mio incerto futuro.
E invece dico: Gesù ci rimmarà sempre estraneo. E ci deve reimanere estraneo. Dobbiamo percepire questa distanza! Perché è oltre il nostro sguardo di vedere le cose, oltre le alternative o le richieste che gli facciamo. Noi dobbiamo percepire di essere realmente ciechi, e non sapere sempre dove collocare Gesù, perché così qualcuno, prima o poi, venga a guarirci. E, dice Paolo nella seconda lettura, io non mi vergogno di questo. Non mi vergongo di credere in una potenza che non è la mia.
Non mi vergogno del fatto che Gesù sarà sempre sentito estraneo, anche da me che dico messa. E’ estraneo perché non è collocabile nelle mie alternative tra i lavori. E per questo è sempre creativo, ad ogni generazione si deve inventare cose e deve aspettarsi cose che neanche si immaginava. Così che soltanto alla sera io possa dire: il Singore camminava con noi, ti ricordi come ci ardeva il cuore, anche se i nostri occhi erano incapaci di vederlo.
Perché dobbiamo aspettarci che Gesù incontri l’uomo in un luogo più originario e più profondo: dove l’uomo nasce a sé stesso con tutto il suo desiderio infinito.
E’ a questo livello della vita, il livello del nostro desiderio, che verremo guariti dal Signore e non lo sentiremo più come estraneo. Allora saremo capaci di fare qualsiasi cosa – perché avremo imparato a desiderare come desidera Dio – e ci vergogneremo anche di solo di aver pensato che nella vita in tutte le cose migliori della nosrta storia noi potevamo fare a meno di lui.