Anno C – Domenica penultima dopo l’Epifania

Dn 9,15-19 Sal 106 1Tim 1,12-17 Mc 2,13-17

Cosa pensiamo quando ci raccontano di un ragazzo che ha lasciato i suoi studi e mamma e papà, per entrare in Seminario? Cosa pensiamo di un ragazzo che diventa prete?
Oppure: cosa pensiamo di un ragazzo che rinuncia a un viaggio in America perché sente la responsabilità di andare in estate con in suoi ragazzi di catechismo in montagna?

Forse molti degli adulti che sono qui in Chiesa, di fronte a un ragazzo che entra in seminario, direbbero ai più piccoli: “ecco, guarda uno che ha ancora dei valori, che fa una scelta seria e ha la testa sulle spalle!”.
Forse è quello che pensano i vostri nonni che dicono: “ecco, un bravo ragazzo!”.

Ma cosa racconta il Vangelo? Chi è questo ragazzo di cui il Vangelo dice: «Gesù passando, vide Levi seduto al banco delle imposte e gli disse: “seguimi”» ? Chi è questo Levi? Uno devoto? Uno con ancora dei valori per il prossimo? Un ragazzo con la testa sulle spalle?
Un bravo ragazzo ma letteralmente a farsi gli affari propri. Perché, come ogni pubblicano, Levi riscuoteva le tasse per conto dei Romani ed era quindi contro la propria gente. E in più, non ricevendo alcuno stipendio per questo mestiere, viveva praticando l’usura con i soldi che riscuoteva. Dunque doppiamene odiato dalla gente: perché traditore e perché praticava l’usura.
E sembra non essere il solo. Anche Paolo scrive di sé – nella seconda lettura: io che ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.

Ma il Vangelo è proprio questo. Il Vangelo è quello di Gesù che si rivolge ad un usuraio e non ad un ragazzo perbene.
Chi dice che uno che diventa prete è un bravo ragazzo, senza grilli per la testa, con la faccia d’angelo e tanto buon senso? Queste frasi non assomigliano forse a quelle dei farisei che si lamentano di Gesù alla fine del racconto?
Il Vangelo non ha nulla a che fare con le buone abitudini, con i buoni o cattivi pensieri, con il non dire le parolacce e fare i bravi.
La vocazione cristiana inizia dal Vangelo, non dal buon senso. Perché la somma di tutto il buon senso di questo mondo non fa un Vangelo. Il Vangelo è un’altra cosa.

Allora, cosa pensiamo di un ragazzo che diventa prete?
Su Youtube l’anno scorso c’era un video con due miei compagni che raccontavano la loro vocazione. E’ stato visto da più di 100.000 persone e ha avuto quasi 1.000 commenti.
Ho letto un gran numero di quei commenti e mi hanno portato a riflettere sul fatto che non pochi se la prendessero con la scelta di diventare prete, accusando di vivere fuori dalla realtà, nel medioevo. Scriveva uno: «Cosa ne sanno questi della vita?».
Che strano tutto questo. Perché invece del Vangelo non si parla.
Nella religione davvero sembra che ciascuno ci veda quello che vuole vederci, quello che pensa di trovarci, ma come se lo avesse deciso in anticipo. Ed è altrettanto curioso che, invece, pochi – perfino fra coloro che si dicono cristiani – si richiamino al Vangelo. Sia fra coloro che difendono la scelta dei giovani, sia fra coloro che la criticano.

Ma il Vangelo di oggi dice ancora: «Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli».
Allora, uno che diventa prete è uno che vive fuori dalla realtà, che non ha conosciuto il mondo, perciò non sa nulla e, magari, è stato perfino plagiato? Ma il Vangelo non dice questo. A nessun cristiano chiede questo, e tanto meno ad un prete.

Non so cosa evochi in voi la parola “seminario”. Però i seminaristi sono giovani che trascorrono molto del loro tempo (libero e non libero) in carcere, con dei detenuti, o in ospedale, con i malati di AIDS, o con altri giovani, normali o devianti, bigotti e bulli. Perché ci sono proprio tutte le categorie; e poi bambini, anziani, coppie… In nome del Vangelo.
Davvero chi vive di Vangelo e per il Vangelo vive fuori dal mondo?
A me sembra il contrario. Certo a patto che sia appunto il Vangelo e non un’altra cosa.