Anno A – VII Domenica dopo l’Epifania

Is 64,3b-8 Sal 102 Fil 2,1-5 Mt 9,27-35

Isaia dice: c’è un modo per incontrare il Signore, il Signore si fa incontrare da “chi è nella gioia”, “chi fa la giustizia”, e “chi si ricorda di Lui nella cammino della sua vita”.
La lettera ai Filippesi non dice una cosa lontana da questa, ma dice: “abbiate in voi lo stesso modo di sentire del Signore Gesù”. Questa espressione, come anche quelle di Isaia, mi sembra meno banali di quanto possano sembrare a prima vista.

“State nella gioia”, “abbiate in voi gli stessi sentimenti…”. Sono frasi molti promettenti, anche per il nostro modo di pensare. La nostra relazione con il Signore non coinvolge solo quello che facciamo (facciamo i bravi?), né quello che sappiamo (hai studiato il catechismo?), ma deve coinvolgere anche i nostri sentimenti.
Vorrei dire di più: il vissuto emotivo, i nostri sentimenti, si scrivono a un livello molto più profondo della nostra personalità e non sono solo le “cose” di quando eravamo adolescenti o bambini.
Capita, per esempio, che si scopre anche da adulti che si è capaci di… piangere. E non è per forza un male, anzi. Un padre che ha perso totalmente la relazione con suo figlio, può scoprirsi all’improvviso capace di piangere. E sa perfettamente che questo è più profondo che la pura conoscenza del fatto che “non ci si parla più”… è molto più profondo.
Una vita senza sentimenti (che sono di più che semplici emozioni), una vita che non è mai emozionale, è come una vita grigia e senza i colori. Non è una vita evangelica. La vita evangelica è fatta di passioni: come facciamo a dire “Dio ti ama” senza “sguardo”, senza “affetto”… Sarebbe come quella scena in Ovosodo…

Io penso che un bravo educatore, un bravo catechista, un bravo genitore – e anche un bravo prete! – bravo in senso crisitano, è un uomo capace di relazioni affettive, non ana-affettive, o formali o funzionali (il prete… ah sì, quello della pratica per il matrimonio… quello che fa la predica). Gesù ha instaurato relazioni affettive con i suoi. E anche con le donne: con marta e maria, con la prostituta che gli bagna di lacrime i piedi….

Dunque il problema non è censurare le emozioni (faccia da oremus). Anzi.
Ma c’è di più: questa pagina dice “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù”… Già perché “senza sentimenti” non c’è Cristo Gesù, non c’è relazione con lui, non c’è cristianesimo… ma “non tutti i sentimenti sono quelli di Cristo Gesù”! Non tutti i sentimenti che abbiamo – per il solo fatto che li sentiamo – sono il segno della verità.
Oggi ti insegnano: “se c’è il sentimento, allora quello che fai è vero”, “se ti senti, allora è giusto…” è giusto. Ci sono sentimenti che si sentono ma che sono sbagliati, cinici, falsi, portano alla morte (anche nostra). Il sentimento non è un criterio di giudizio (come cercano di insegnarti), ma il Signore Gesù è l’unico criterio di giudizio.
Noi pensiamo: se una cosa è sentita allora è buona. Questo è ingenuo. Es: se si sentiva male di stare ancora con lui ha fatto bene a lasciarla. Ma questo è ancora poco, bisognerebbe vedere: anche con tre figli piccoli… anche con… Oppure, se non si sentiva più di studiare – sa reverendo – ha smesso… Non si sentiva, come dire: è giusto così.

E invece Paolo ci richiama: noi nasciamo e non abbiamo già i sentimenti giusti, i sentimenti di Gesù. Noi nasciamo e iniziamo a fare una cosa (iniziamo una relazione…) e poi ci stanchiamo, ci stufiamo, rovineremmo anche volentieri tutto… e ci sentiamo proprio così. E un giorno ci sentiamo e un altro giorno non ci sentiamo. Perché noi non abbiamo quei desideri e quel modo di sentire del Signore Gesù.
Per questo dobbiamo volerlo. Dobbiamo confrontare i sentimenti con la giustizia della cose che facciamo (con quelli di un altro). Non perché sentire (emozionarsi) sia in sé sbagliato, ma perché quella cosa che senti può anche non essere vera, può anche portarti alla morte.

Concludo dicendo: che bello che anche i grandi classici per esempio della letturatura parlino di questo: che i sentimenti veri sono per l’uomo un compito. Alcuni ci sono e forti ma l’uomo può domarli, può vagliarli, può modificarli.
Gli antichi dicevano che l’uomo deve nascere due volte. La prima nascita è senza averlo deciso: come i gatti e i topi. Ma la seconda nascita è il diventare uomini. Il deciderlo implica una rinuncia e un costo. Ma porta – paolo direbbe – ad avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù.