Anno A – V domenica dopo l’Epifania

Is 66,18b-22 Sal 32 (33) Rm 4,13-17 Gv 4,46-54

Parto da una osservazione sul vangelo: il funzionario del re torna a casa a mani vuote, senza vedere realizzato il suo desiderio di poter portare questo taumaturgo Gesù nella sua casa per ottenere una guarigione per il figlio. Ed è costretto a fare tutto il cammino di ritorno a mani vuote. Gesù non si concede. Eppure proprio così – credendo su una parola e non sulla realizzazione di quello che sperava – vede suo figlio tornare in vita.
Vorrei soffermarmi su questo aspetto. Perché è bene che sappiamo che quanto è scritto è scritto per il nostro oggi, oppure è lettera morta.
Duemila anni fa come oggi noi siamo spontaneamente portati a credere a condizione di vedere dei miracoli. Vorremmo che il miracolo sia la prova della nostra fede. In questo senso Gesù dice “se non vedete segni e miracoli voi non credete”.
Siamo portati a credere che la fede sia la conseguenza del miracolo. La realizzazione del nostro desiderio, anche buono (la guarigione di un figlio è certamente buono) ci porta finalmente a crede. Se vedessi qualche miracolo farei meno fatica a credere – pensiamo segretamente tra noi. Che ingenui che siamo!
Ma non è una cosa lontana perché fa parte del nostro normale modo di vivere che è fatto di scambio e di baratto. Se fai il bravo la mamma ti premia, se paghi porti a casa il tuo oggetto, se studi verrai premiato… è il mondo nostro del baratto… tant’è che diciamo: tutto si paga. Tutto si paga: c’è un mio desiderio (il mio miracolo) e c’è la mia preghiera (la mia fede).

Perché Gesù non ci sta a questo modo normale e naturale (diciamolo!!) di pensare? Perché Gesù non lo accetta e non va a casa del funzionario soddisfacendo il suo bisogno (bisogno buono!) e permettendogli così di credere? E invece aspetta che lui se ne vada a mani vuote e pur credendo solo in una parola?
Forse perché è un po’ sadico? forse perché gioca a nascondino?…
C’è una bella definizione di Dio nel film L’Isola. Il protagonista, che era vissuto in un mondo a parte, scappa e incontra un uomo… a un certo punto gli domanda: chi è Dio? E quell’uomo gli dice: hai in mente quando desideri proprio una cosa, sai quando proprio vuoi una cosa? Ecco: Dio è colui che ti ignora.

Perché Dio ignora i miei desideri, anche quelli buoni (qui sbaglia la retorica cattolica….)?
A volte fa miracoli (perché questo a volte è sotto gli occhi di tutti) ma al di là dei miei desideri. I miei desideri, anche buoni, quelli li ignora. Perché? Di più: Dio mi sembra proprio quello che ignora i miei bisogni (anche quelli più sani).

Forse solo per questo: perché io, felicemente, sono mancanza. Questo è un punto centrale semplice eppure non facile. Io non sono le cose dei miei bisogni. Tutte le cose che voglio sono bellissime, e sono buone (bisogna dirlo !) ma falliscono – non bastano mai.
Avete in mente la fatina che esce nelle fiabe e dice: dimmi tre desideri e io te li esaudisco. E ognuno di noi pensa alle sue cose: la macchina, bella donna… (sono cose bellissime e sacrosante), ma sono realmente sufficienti per noi? Cosa bisognerebbe dire alla fatina? Bisognerebbe avere il coraggio di dire: “vai a quel paese” perché la trappola è che vuoi che ti dica una cosa che non so.
Ciò che io desidero non lo so. L’uomo ha dato dei nomi, per esempio “felicità”, ma poi non li sa riempire. Perché ogni cosa mi delude e ogni cosa prima o poi è fallimento. Dio è quello che ignora le mie cose perché la “cosa” (anche buona) è il fallimento.

Ma Dio sa –invece– che io (felicemente) sono mancanza (inquietudine diceva Agostino). Anche Salomone alla domanda “cosa vuoi”, chiede il “la sapienza” che non è una cosa (neanche astratta) ma è solo un modo di vivere la mancanza.
E allora capisci che Dio mi chiede di essere povero per ricordarmi che sempre dipendo dalla benevolenza di qualcuno (“sono mancanza io”, “non sono una cosa”). E mi chiede di fidarmi di una parola perché faccia esperienza che non è da me che dipende la mia vita.
Come Dio del resto. Anche Dio non è una cosa ma una “mancanza”, nel senso forte di una dipendenza essenziale tra il Padre, Gesù e lo Spirito.

La mia mancanza (la mia inquietudine) quella che anche Gesù non soddisfa con una “cosa”, non la si può mai ignorare del tutto. Può accadere che la “cosa” che oggi ci soddisfa venga continuamente cambiata come accade oggi… ma sempre una cosa fallirà… (per questo ci insegnano le pubblicità che TIME IS NOW, perché “domani” è già da buttare la cosa – anche quella buona!)

Al centro della nostra vita ci sarà sempre una mancanza. E la fede è un incontro che ristruttura quella mancanza. Quella mancanza non è più il segno della prevaricazione di Dio, perché quella mancanza è in Dio stesso.
Del resto siamo così, nasciamo dipendenti da qualcun altro che ci mette al mondo e moriamo che il mondo andrà avanti anche senza di noi. Perché siamo la lettera seconda e la lettera penultima (come ricorda la spiritualità ebraica). Di questo anche il funzionario del re fa esperienza e per questo forse viene salvato.