Anno A – Festa della Santa Famiglia

Sir 7,27-30.32-36 Sal 127 (128) Col 3,12-21 Lc 2,22-33

C’è troppa chiacchiera che si fa su questo termine “famiglia”.
È una parola sulla quale tutti abbiamo da dire, da rivendicare, da giustificare… eppure resta chiacchiera. È come continuare a martellare sullo stesso chiodo convinti che così la situazione possa cambiare. Forse in passato il cristianesimo è vissuto su un modello molto chiaro e semplice di una società tutta cristiana che si fondava sulla centralità della famiglia. (Sono convinto che a partire delle legittime rivendicazioni del movimento femminista del anni del ’68, la situazione sia radicalmente cambiata). Ma non basta rivendicare la parola, non basta dire “è importante..”. Così resta sempre chiacchiera che non centra con il vangelo.
Penso che noi da un lato dobbiamo guardare con grande sofferenza chi oggi paga le spese di questo cambiamento epocale: sono certamente i più piccoli e i figli, che hanno famiglie allargate, che mancano di padri e di madri reali e di quanto è – a nostro avviso – è un fatto vitale per diventare uomini.
Sono un esercito di orfano dei quali noi oggi senza dubbio dobbiamo (sottolineo dobbiamo) prendercene cura. Prendercene cura semplicemente aiutandoli a crescere come uomini (senza chiedergli in cambio di venire alla messa) per il semplice fatto che sono degli orfani, che attendono e vorrebbero sentir parlare di un padre e una madre reale. E quanto è vicina questa richiesta – permettete la nota spirituale – a quella Paternità che anche noi andavamo cercando.

Ma penso dall’altra parte che se siamo stati in ascolto di questo vangelo, e non solo dei nostri valori e delle nostre idee, noi dobbiamo sapere con assoluta chiarezza che la fede cristiana non è appesa e non dipende dal funzionamento sociale di quel modello di famiglia che per tanti anni ha funzionato. Anzi: dargli troppo credito (un credito che va oltre la fine) è significato proprio sancire la sua fine.

Mi spiego: il vangelo cristiano insegna che la famiglia cristiana (un marito e una moglie sposati in chiesa con figli) non è l’arrivo della fede (quanto il nostro catechismo non puntava solo a lì…) ma soltanto un punto di partenza.
Il vangelo insegna infatti che il cristianesimo non è questione di sposarsi e fare una famiglia cristiana. Questa equivalenza ha contribuito – dal mio punto di vista – in grande misura alla fine del cristianesimo contemporaneo e alla fine delle comunità cristiane.
Perché il vangelo non da buoni consigli per la vita di coppia, ma insegna che il cristianesimo è una nuova famiglia che è detta comunità. Interessantissima la finale del vangelo di oggi: quanta espropriazione e quanta sofferenza fa compiere alla vecchia famiglia la nuova famiglia comunità!
Il punto cristiano non è: fate famiglie sposandovi in chiesa e portateci i figli per il catechismo e la Messa. Questa è la fine del cristianesimo! Ricordate: Gesù fu chiamato dai suoi parenti e dalla sua famigli che lo cercava e disse….
Lo dico in modo esplicito: la fede non comincia con la famiglia cristiana ma con la nuova famiglia che è la comunità e che per assurdo potrà contenere un domani anche persone che non hanno mai fatto una famiglia cristiana.

Ma questo non è stato il pensiero che ha guidato la riflessione della Chiesa negli ultimi anni, se non in poche eccezioni (prendo qui dalla riflessione di von Balthasar di G. Loffing). È stata guidata dalla preoccupazione finendo l’istituzione del matrimonio finisse tutta l’impalcatura che reggeva il nostro piccolo modellino di parrocchia-oratorio-famiglia.

Nel tentativo di ricuperare i buoi scappati, invece di ricorrere al risanamento del punto centrale che è la reale appartenenza alla comunità che vale di più dell’appartenenza alla famiglia, ci si infilò nella via della specializzazione e della suddivisione dei ruoli. Non intuendo più cosa era la comunità.
Si arrivò alla qualificazione della pastorale: pastorale del turismo, della terza età, della famiglia, dei migranti, della gente di mare, della malattia, dei malati terminali…
E nel campo dei bambini ci si tuffò a pesce: corsi di catechesi, iniziazione, pastorale adolescenti, pastorale 1819enni, universitari…
Cosa ha ottenuto questo “modo di vivere la Chiesa”? Sono convinto che questa “pastorale” ha seminato disastri nel mondo cattolico. La famiglia naturale è rimasta l’unico titolare indiscusso dell’educazione dei propri figli e l’unico contenitore della vita detta “cristiana” e quella nuova famiglia cristiana che è la comunità ha acquistato funzione sussidiaria, dispensatrice di sacramenti… Il cristianesimo ha così anche smesso di diventare esperienza ed incontro (attesa ed incontro come insegnerebbe il Vangelo di oggi) ed è diventato modello sociale, educazione in un settore della vita: quello così detto spirituale o caritativo.
E per contrappasso anche la famiglia naturale ne ha subito il contraccolpo così davvero non più motivo di sposarsi.

Ecco da dove ripartire: ripartire dalla comunità che vale di più della famiglia, ripartire dal vangelo che vale di più di un modello sociale e che chiede una appartenenza per la vita. Non una appartenenza settoriale… chiede di vivere insieme tra cristiani di lavorare e studiare insieme…. e non una specializzazione ai singoli settori dell’umana convivenza o dello sviluppo e della crescita dei nostri figli come le varie pastorali vorrebbero farci intendere.