Festa di Cristo Re

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La festa di Cristo Re dell’universo è carica di ambiguità. E’ stata istituita nel 1925 contro gli eccessi di laicismo moderno che vorrebbe fare a meno di Dio e contro gli eccessi di un clericalismo che tenta di servirsi di Dio per i propri scopi. Tuttavia, il tema della regalità di Gesù è un tema ambiguo, come il tema dell’onnipotenza di Dio. Cosa intendiamo con “regalità di Gesù”? Cosa intendiamo con “onnipotenza di Dio”? Forse che Dio ha un potere senza misura, assoluto, può ciò che vuole? Cosa ha detto Gesù sul tema del potere e sulla regalità? Penso siano note a tutti alcune frasi come: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande fra voi diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve”…  E’ uno dei tanti detti di Gesù sul potere come “servizio” e tutte le letture di oggi ci ricordano questa paradossale “regalità” di un Dio che muore senza salvare sé stesso.

C’è però un rischio nel parlare di questa “regalità” come “dono di sé” o del “potere” come “servizio” invece che come “dominio”. Il rischio di farne un problema morale, senza cogliere cosa c’è in gioco. La seconda lettura dice: “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”… gli stessi sentimenti sono qualcosa di molto profondo, non significano un dovere morale. I sentimenti non si comandano. Dove sta la questione che va a toccare i sentimenti facendoci vivere diversamente il potere?

La questione è per me quella della consapevolezza della propria fragilità. L’uomo non solo è fragile (si ammala, invecchia, si innamora, non sa cosa accadrà domani…), ma –molto di più– è consapevole della propria fragilità. I nostri sentimenti sono anzitutto quelli della paura di questa fragilità. Non c’è nulla di a-morale, di scandaloso in tutto ciò. Non c’è nulla di scandaloso nel reagire a questa consapevolezza cercando dei “punti di appoggio”, dei punti di “quiete”, una routine fatta dei propri piccoli poteri (a lavoro, quando sei in pensione per cui ti crei i tuoi piccoli poteri…). Ma cosa c’è dietro il potere? La paura di perderci qualcosa, l’istinto della propria autoconservazione.

Se il potere (a tutti i livelli) copre o nasconde una paura, una fragilità, un’inquietudine e se vogliamo avere gli stessi sentimenti di Gesù, se vogliamo iniziare a vivere il potere come l’ha vissuto lui, dobbiamo iniziare a pensare che la prima questione sarà come vivere questa paura, come non avere paura della nostra fragilità, come non temere di mostrare la nostra vulnerabilità, come non temere “di perderci qualcosa”. Avere gli stessi sentimenti di Gesù significa anzitutto non vergognarsi di essere fragili, insicuri, paurosi, peccatori… non avere in fondo nulla da difendere di sé. Impossibile? Diciamo almeno che questo è meno impossibile di fronte a chi si ama. Se si ama qualcuno davvero non si ha così paura a dire quello che si è. E se si fosse capace di amare persino i nemici saremmo davvero risuscitati nel Risorto. Questo è l’antidoto al potere come “domino”: non una forma morale di impegno (che nasconde sempre un però: “mi impegno a vivere con servizio il mio ruolo di potere… però ci resto attaccato fino ai denti…”), ma non avere paura di perderci qualcosa, non avere paura della nostra assoluta fragilità.

Questo è il vero tema anche per oggi, dove tutto sembra importante e di valore solo se ottiene consenso, solo se ha successo (una forma di potere). Un episodio della serie televisiva Black Mirror che si intitola “caduta libera” racconta il percorso di una donna attraverso la sua “kenosis”, ovvero la sua discesa tra le persone disprezzate da tutti ma forse più autentiche e felici. L’episodio si immagina un mondo dominato da giudizio degli altri: tutti postano sui social foto, vacanze, immagini, commenti che vengono valutati e ciò che è importante è ottenere punteggi elevati. In questo mondo, tutti sono falsi, tutti devo fingere di essere felici, tutto ha importanza nell’esteriorità e nulla è più autentico: perché essere autentici significa perdere punti, sbagliare, essere brutti, invecchiare… Alla fine di questa “caduta” però, perché la protagoniste perde tutti i punti che aveva, si scopre qualcosa di sé, si scopre che si può non temere di mostrare sé stessi anche nel proprio fallire. Si può non temere di “svuotare sé stessi facendosi obbedienti fino alla morte”. Gesù non ha avuto paura di lavare i piedi ai dodici: non è solo un compito morale, ma include la forza di saper abbracciare la propria umiltà.