II domenica dopo il martirio

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Nel Vangelo Gesù dice che da solo non può fare nulla (“il Figlio da sé stesso non può fare nulla”). Non è una affermazione di poco conto: il Figlio di Dio sostiene di avere bisogno di qualcuno e persino di Dio. Gesù ha avuto bisogno di relazioni e lo ha detto più volte esplicitamente. Ha avuto bisogno di amici intimi che gli stessero vicino specialmente nell’ora della prova; ha avuto bisogno di un maestro al quale legarsi (Giovanni Battista), come di una madre che lo crescesse. Ha avuto bisogno di discepoli –“lì costituì perché stessero con Lui” dice il Vangelo– e di famiglie dove andare a mangiare. Infine, Gesù ha avuto bisogno di Dio.

Per noi, non è affatto facile affermare che si ha bisogno di qualcuno. Significa mettere in luce una debolezza. Non è frequente che un uomo sappia dire alla propria moglie, magari dopo vent’anni di matrimonio: “ho bisogno di te”; che sappia riconoscere che ha bisogno di quei quattro amici che lo sostengono e che senza di loro la vita sarebbe più grigia. È difficile perché significa mostrare di essere fragili, di essere mancanti. È difficile per un ragazzo adolescente, che è in una fase della vita dove vuole sentirsi grande e solido, riconoscere tuttavia che ha avuto bisogno di mamma e papà… Ma lo stesso accade poi anche finita l’adolescenza: si finisce per volerci sentire e mostrare sempre forti, alimentati dal mito dell’uomo che “non deve chiedere mai”. Quale menzogna più grande?
Eppure, per non nasconde la nostra fragilità bisogna vincere il nostro orgoglio e dire, come Gesù “ho bisogno di Te”. Ho l’impressione che chi lo sa dire sia molto più grande e forte di chi finge di essere forte e autonomo.

A volte vivo l’esperienza della solitudine come una forma (ahimé anche dolorosa) di questa verità: ho bisogno di qualcuno e da solo posso fare ben poco, la vita mi chiama a vivere in una relazione. Cercare di dimenticarmi di questa solitudine strutturale e della domanda seria che essa contiene, magari riempiendomi di mille cose da fare o di false amicizie, mi è sempre sembrata una distrazione alla lunga inefficacie. Invece, cogliere tutta la portata di quella domanda, la serietà che impone nelle relazioni (perché mi lego a qualcuno) come e la sua insaziabilità ultima, mi pare la vera sfida che dà senso a quel vuoto (senza eliminarlo del tutto), fino a riconoscere –in alcuni momenti—che proprio di un Dio ho bisogno.

Se si vede l’ultimo film di Cristopher Noland (Dankirk), che racconta la vita dei soldati in fuga dalla Francia nel 1940, ci si rende conto –se quella è stata davvero un’esperienza reale– di quanto necessitiamo di una salvezza e di un Dio. Si esce dalla visione così immersi nell’esperienza limite (ma reale) della precarietà della sopravvivenza militare e dell’assurta vicinanza tra vita e morte che non può non nascere la domanda: è solo tutto assurdo o abbiamo davvero bisogno di un Dio che ci salvi da tutta quella brutalità? È una domanda difficile da tacere interiormente, che mi ricorda tuttvia la stessa fragilità che mostra Gesù quando si rivolge al Padre: “senza Te non posso nulla”, “ho bisogno di Te per dare senso al mio nulla”.

La seconda riflessione è solo una provocazione sul versetto che dice: “Dio farà opere più grandi perché voi ne siate meravigliati”. In cosa consiste questa meraviglia delle opere che Dio compie? Dalla mia esperienza, essa si mostra a volte in modo alquanto di paradossale. La meraviglia è anche lo stupore di ciò che non capiamo o di ciò che non pensavamo si potesse dire.
Provo a spiegarmi con un esempio. Qualche anno fa assistevo un malto con una grave malattia terminale. Un malato perde la sua autonomia, la progettualità sul futuro (vive con un forte senso di precarietà), il benessere del proprio corpo ecc. Il malato che ho conosciuto, verso la fine della sua malattia, un giorno mi dice: ho perso tanto in questi anni, mi è stato davvero sottratto molto, sono stato come rapinato di tutto ciò che possiedo… Però –aggiunge—la cura che mia moglie mi ha regalato nell’assistermi, così tanti amici che mi sono stati vicini e soprattutto vedere in modo diverso mio figlio… beh… –aggiunge—con tutto questo allora penso mi sia stato dato alla fine più di quanto mi è stato tolto. Ecco, questa è per me la meraviglia. Io non avrei mai potuto dire così. Poter dire questo è davvero una meraviglia, perché il male resta tale e insensato, ma qualcosa è accaduto ed è accaduto come non te lo aspettavi, come non saresti stato in grado di poter dire.