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Il Vangelo di oggi racconta lo stupore e la meraviglia dell’annuncio nuovo del Vangelo. Persino Erode, oltre alla folla, sembra incuriosito e stupito della novità che Gesù insieme ai suoi primi discepoli portano in quella terra. Di questa stupefacente novità –come una scoperta inattesa– sembra parlare anche Paolo e Isaia: è come la luce rispetto alle tenebre (Paolo), come la sazietà rispetto alla fame (Isaia).

Mi chiedo se dopo duemila anni esiste ancora tale forza dirompente del cristianesimo, una visione lucida della grandezza della posta in gioco o una curiosità di ricerca. Talvolta mi sembra che siamo piuttosto stanchi, forse perché da quell’annuncio è passato molto tempo (molte generazioni, molte polemiche e persino molte guerre) o perché la percezione di una salvezza offerta, di una vicinanza di Dio, mi sembra ogni tanto lontana nella vita. Come già Socrate scriveva nel Fedone: è ben comprensibile che gli uomini non vogliano più sentir parlare di alcune verità che hanno sentito per troppo tempo e in malo modo, e tuttavia –continua il filosofo– sarebbe un grave danno se si rinunciasse alla ricerca di una verità. L’impressione è che troppo si è sentito parlare di Gesù nei secoli, senza che nulla cambiasse realmente nella vita, senza che fosse come una luce nelle tenebre… e ora viviamo privati della curiosità e della freschezza di questo primo annuncio. E’ una sensazione della quale penso di essere responsabile anche io.

Insieme a questa stanchezza, capisco anche che la vita non ha bisogno soltanto di “ozio” o di lavori da compiere o di obbiettivi da raggiungere. Anzi, una delle cause della nostra stanchezza penso sia la stessa routine che si genere dalla chiusura della nostra vita quotidiana. In ogni tempo, vedo che esiste qualcosa che io stesso chiedo e desidero. Del quale, come dice Isaia, sono pure affamato. Per essere felice, per lavorare, per rischiare, per fare figli, per sopportare malattie, ho bisogno di credere nella positività di questa vita. Se mi manca questo, se mi manca un “sì” al vivere, un “sì” al combattere le fatiche quotidiane, è come se mancasse l’energia, il perché, lo scopo… Parlo della possibilità (e anche necessità) di scegliere una sostanziale fiducia nella vita. In un tempo dove tutto è in cambiamento, tutto è un problema, tutto è interpretabile… dove i media continuano a raccontare tragedie e problemi…  rischiamo di far venir meno quello che mi pare sia stato il grande annuncio di Gesù Cristo: devi credere nella bontà della vita umana, nella capacità dell’uomo di compiere il bene, nell’impossibilità della morte di avere l’ultima parola. Perché per questa fiducia, per questa coerenza, per questa idea che un regno d’amore si poteva davvero compiere tra gli uomini, per tutto questo è stato ucciso.

Ora che tanti ricominciano il lavoro o un anno scolastico, ricominciano la routine quotidiana con tutte le fatiche, è normale sentire un po’ di affanno… ma penso ci sia chiesto di rinnovare questo “sì”, questa “fiducia”, questa “scommessa” che dobbiamo tornare a credere. Se abbiamo perso anche questo desiderio, se siamo sfiduciati o rassegnati come al solito, allora o siamo davvero invecchiati o abbiamo perso di vista Gesù Cristo. Dobbiamo pur almeno desiderare da uomini che la vita non sia solo lamentela o lotta fine a sé stessa.

Durante la pentecoste del 1961, in una difficile missione di pace ai confini con il Congo, il segretario generale delle nazioni unite, Dag Hammarskjold, poco prima di perdere la vita scriveva: “Io non so chi — o che cosa– abbia posto la domanda. Non so quando essa sia stata posta. Non so neppure se le ho dato una risposta. Ma una volta ho risposto sì a qualcuno – o al qualcosa. Da quel momento è nata la certezza che l’esistenza ha un senso e che perciò, sottomettendosi, la mia vita ha uno scopo. Da quel momento ho saputo che cosa significhi “non guardare dietro di sé” e “non preoccuparsi del giorno seguente”.