II domenica dopo la dedicazione

Is 25,6-10a; Sal 35; Rm 4,18-25; Mt 22,1-14

Bisogna chiarire il significato della finale di questa parabola: “molti sono chiamati, ma pochi eletti”. E’ una traduzione non felice di un modo di parlare tipicamente semita e a noi un po’ estraneo. Spesso per formare un comparativo un ebreo usa un’opposizione di contrari. Ad esempio (Rm 9,13) “ho amato Giacobbe, ma odiato Esaù”, non significa che Esaù è stato realmente odiato, ma significa “ho amato Giacobbe più che Esaù”. Oppure Lc 14,26: “chi non odia il padre e la madre non è degno di me”, non dice di odiare i genitori ma “amare Gesù più del proprio padre…”.
Una traduzione più comprensibile sarebbe: “ci sono più chiamati che eletti“, ovvero, non tutti quelli che vengono chiamati sono “eletti”, cioè rispondono alla loro chiamata. Non perché chiamati si è automaticamente eletti. Detto in altri termini: il mistero della nostra libertà resta tutto fino all’ultimo istante di vita. Esattamente come i primi invitati a nozze che rifiutano l’invito, con la sola differenza che prima nessuno aveva risposto, ognuno era impegnato nelle sue faccende, mentre ora solamente uno non ha risposto indossando l’abito nuziale.

La parabola mi fa pensare al dramma della libertà. Libertà è una parola che ha perso sapore. La confondiamo con la libertà di stampa, di espressione, di voto… come se fosse un accessorio che si può togliere o mettere alla vita. Io penso invece che la libertà sia la cosa più grande che tutti riceviamo in dono e che non possiamo toglierci mai del tutto (pure se cerchiamo di farlo). Non tutti riceviamo le stesse cose quando veniamo al mondo, ma ognuno riceva la libertà. Da cosa lo vedo? Dal fatto che l’unico gesto che conta realmente nella vita –cioè il nostro voler bene– non può essere in alcuno modo costretto. Non si può costringere ad amare, non si può costringere ad essere amico. Tutto il loro valore sta nella libertà dell’atto e dunque nel dramma e anche della loro “non possibilità”. Altrimenti si chiama “acquisto”, ma non avrà mai lo stesso valore. Si può incarcerare un uomo, ma non si potrà mai costringerlo a voler bene.
Direi così: la libertà è la distanza necessaria da custodire affinché la relazione esista davvero come relazione e non come possesso. La libertà è la distanza tra il Padre e il Figlio che li fa essere l’uno distinto dall’altro. Chi vuole bene sa la fatica di questa distanza… Appena si pretende di eliminarla ecco che si cerca di uccidere colui che amiamo. E forse anche per questo “amore” e “morte” stanno così vicini. “Morte” è lo stesso nome di “amore” ma privato della libertà.

Il cristianesimo, come Gesù in questo testo, parla di “inferno” –che apparentemente è una contraddizione con il volto di Dio– solo per salvaguardare il mistero della libertà, non togliere la possibilità a un uomo che esso stesso rifiuti il bene che vede. Costi pure a Dio il rischio di perderci, ma lui non sopporterebbe di farci schiavi. Dio non vorrà mai degli adoratori perché vuole uomini liberi. Le religioni pagane, i miti moderni, vogliono adoratori e schiavi, ma Dio vuole solo uomini liberi. Accetta il fatto che questo possa non accadere… Che fatica permettere che gli invitati non siano degni e continuare a sperare fino all’ultimo che si ricordino dell’abito nuziale… Ma questo ha fatto Gesù stesso tante volte: per Pietro, per Giuda (fino all’ultimo boccone), per la folla, per tutti gli altri. Fino a domandarsi angosciato e senza risposta: “il Figlio dell’uomo quando tornerà sulla terra troverà ancora la fede?”. Ad oggi possiamo dire che lui stesso non lo sa.

Un’ultima considerazione: “più chiamati che eletti” mi fa venire in mente che io stesso ho ricevuto di più di quello che sono stato capace di restituire. Ciò che vale nel mondo vale anche in noi stessi. Ci sarà sempre una parte di noi senza “abito nuziale?”. La parabola mi ricorda che prima ancora di essere o meno eletto sono stato chiamato, ovvero che Dio stesso mi cerca più che io stesso possa volontariamente desiderarlo e cercarlo. Fermarsi ogni tanto anche solo a riconoscere questa sproporzione, a volte pure ammutoliti, è forse parte dell’abito stesso che dovremo indossare.